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ricchezza povertàCuori in liquidazione

Lc 16,1-13

Chissà se il figlio maggiore è riuscito ad entrare in casa e ad abbracciare il fratello. Forse è rimasto fuori, continuando a lamentarsi per quello che non ha avuto, forse si è allontanato per piangere su tutte le occasioni mancate, per tutte le volte che solo per orgoglio o per imbarazzo ha rinunciato ad abbracciare il padre.

Mi piace pensare che questa parabola dell’amministratore sia una storia che il padre ha raccontato ai suoi figli quando in casa si sono abbracciati. È una storia infatti che ricorda tanto la fiducia che il padre ha dato ai figli, un padre che si è messo nelle mani del figlio, un padre che ha voluto insegnare l’amore: mettersi nelle mani dell’altro senza pretese.

Davanti a questo amore il cuore del figlio può reagire in molteplici modi: c’è chi, come il figlio minore, rifiuta l’amore perché l’amore è esigente e ti tira fuori dal tuo egoismo; ma c’è anche chi vuole sempre di più, chi è sempre insoddisfatto e passa la vita a lamentarsi, senza essere mai capace di godere dell’amore. L’amministratore somiglia molto ai due figli perché sperpera, non si accorge della fiducia che il padrone gli ha dato, ma pian piano capisce che l’unico modo per salvarsi la vita non è trattenere per sé, ma donare.

Tutto quello che siamo e abbiamo è un dono. Facciamo molta fatica ad entrare in questa idea. Per lo più pensiamo di possedere, di possederci e di poter disporre di noi come vogliamo. La cultura occidentale si è creata una sua idea di dono: in genere pensiamo che il dono ricevuto diventi una proprietà privata di colui che ha ricevuto il dono. Ma con Dio non è così. Tutto quello che abbiamo ricevuto dalla vita tornerà alla sua fonte. Possiamo anche pensare che non sia così, ma ci sono tanti momenti della vita che ci aiutano a ricordarlo, tanti momenti in cui la vita ci fa capire che non siamo dei buoni amministratori. La nostra ricchezza è sempre disonesta, perché non ci appartiene: quello che abbiamo non è mai nostra proprietà.

Il corpo, le relazioni, la vocazione, i ruoli, gli affetti… tutto ci è dato per amare, non per farne una nostra proprietà privata: come la pioggia e la neve scendono giù dal cielo e non vi ritornano senza avere fecondato e fatto germogliare la terra… (cf Is 55,10). Ecco, questa è la dinamica della vita: i doni ci sono dati per fecondare la vita, ma non per essere trattenuti, perché non sono nostra proprietà. Quello che siamo e abbiamo è strumento per mettere in circolo l’amore.

Gesù loda l’amministratore scaltro perché ha capito che l’unico modo per salvarsi la vita è donare. E infatti l’amministratore si mette a con-donare i debiti che gli altri hanno nei confronti del padrone. Il suo comportamento è illegittimo, ma il padrone loda la sua capacità di capire che la strada della vita è il dono. Non importa in che modo i due figli siano arrivati a capire questo, non importa se uno si è allontanato dalla casa ed è finito tra i porci, non importa se uno è arrivato ad alzare la voce con il padre, l’importante è che abbiano capito che la strada della vita è donare piuttosto che trattenere.

Il percorso dell’amministratore scaltro passa attraverso alcune tappe, che rappresentano un cammino che il padre ribadisce ai figli. Questo percorso è scandito da tre verbi che descrivono la dinamica presente nella vita di ognuno: l’amministratore è chiamato a rendere conto (ciascuno di noi, prima o poi, è chiamato a rendere conto della gestione della propria vita), l’amministratore si chiede “che fare?” (è la domanda che apre al discernimento, cosa decido della mia vita? Quali passi mi propongo di fare alla luce del Vangelo che ho ascoltato?), l’amministratore spera di essere accolto (è la speranza che c’è in ognuno di noi, la speranza di essere voluti bene, la speranza di sentire ancora l’abbraccio del padre).

L’ascoltatore della parabola è chiamato a entrare in questa dinamica: se oggi fossi chiamato a rendere conto? Cosa il Vangelo mi chiede di fare nell’oggi della mia vita? Dove ho investito i miei beni?

Se non entriamo nella logica del donare, entriamo nella logica del trattenere: ci attacchiamo ai doni, non siamo più liberi, non riusciamo più a prendere decisioni. La ricchezza è il volto negativo dei doni: si possono avere molti beni/doni, ma non essere ricchi. Si diventa ricchi quando si trattiene, quando ci si illude di possedere, quando si usano i beni per i propri interessi. Per questo il ricco fa fatica ad entrare nel Regno, perché non è entrato nella logica evangelica del dono. Il povero diventa modello del discepolo non perché è indigente e fa fatica a vivere, ma perché, pur avendo molti beni, non possiede, pur avendo molti doni, non si è attaccato ad essi.

Leggersi dentro

Questo testo del Vangelo illumina il nostro cuore, accende una luce nel nostro cuore e ci invita a guardare ai nostri attaccamenti: che cosa oggi mi impedisce di decidere nella libertà? Dove sto sperperando il mio affetto? Dove sto trattenendo l’amore per me (per il mio interesse), piuttosto che donarlo per essere accolto?

 

 

 

 

 

 

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