Meditazione sul Vangelo
della V domenica del T.O. anno A
5 febbraio 2017
Mt 5,13-16
Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Martha Medeiros
Quando la vita perde sapore, diventiamo capaci di mangiare qualunque cosa, soprattutto se abbiamo fame. Non facciamo più differenza. Ci adattiamo. Possiamo perfino arrivare a cucinarci una scarpa, come ne La febbre dell’oro di Charlie Chaplin: desideriamo trovare l’oro, ma ci accontentiamo del sapore di una suola!
La capacità di gustare, di sentire i sapori è un’antica metafora della vita. Il sapore ha un’antichissima relazione con il sapere: conosciamo davvero le cose quando siamo capaci di gustarle. Conosci davvero una persona quando ti sei accorto del sapore che ha per te. Le nostre relazioni e le nostre conoscenze sono così superficiali e veloci che non ci rendiamo neppure conto di quale gusto abbiano per noi.
E lo stesso vale per la vita spirituale: «non è il tanto sapere che sazia e soddisfa l’anima – dice Ignazio di Loyola – , ma il sentire e gustare le cose internamente».
Il gusto e il sapore rimandano infatti immediatamente alle emozioni: fin da bambini, appena nati, impariamo a distinguere il mondo in base ai sapori. È buono quello che ci piace ed è cattivo quello che ha un brutto sapore.
Gustare ci permette di scegliere. Forse oggi facciamo fatica a scegliere proprio perché non riusciamo più a ritrovare il gusto delle cose. Il nostro palato è rimasto bruciato dai tanti sapori forti delle cose che siamo costretti a buttar giù. Ma a volte siamo talmente affamati, che il gusto non fa più differenza!
Quando la vita non ha più sapore o quando noi non siamo più capaci di dare sapore a quello che facciamo, rischiamo di spegnerci, proprio come una stella che muore lentamente quando non è più in grado di illuminare il cielo.
A volte qualcuno può soffiare con insistenza sulla nostra fiammella perché si sente infastidito dalla nostra luce, ma altre volte siamo noi che ci mettiamo un coperchio addosso perché siamo stanchi di splendere.
Mi sembra che attraverso queste due immagini Gesù voglia aiutarci a riscoprire il senso della vita. Che cos’è la felicità, di cui Gesù ha appena parlato nei versetti precedenti, se non la capacità di trovare il senso della propria vita? E qual è questo senso se non la capacità di trovare gusto, di dare sapore? Che cos’è l’infelicità se non decidere di mettersi un coperchio addosso per soffocare la propria fiamma?
La felicità o il senso della vita sta proprio in queste due immagini: il sale e la luce. Sono due immagini che spiegano cosa voglia dire amare ovvero dare senso alla propria vita ovvero essere felici!
Il sale e la luce infatti fanno la differenza: il sale nella minestra fa la differenza, una città senza luce è pericolosa. Ci rendiamo conto che stiamo amando veramente, quando l’altro fa la differenza nella mia vita. Se la vita resta uguale, vuol dire che non stiamo amando più.
Non si può amare però se non consumandosi e scomparendo: il sale non lo ritrovi più, è discreto, lascia il suo sapore, ma non è ingombrante. Non pretende di essere al centro dell’attenzione, non vuole essere visto e ritrovato.
Così anche la luce: illumina consumandosi. La lampada non può illuminare senza consumare il suo olio. Non si può amare senza perdersi. Non si può amare pretendendo di rimanere sempre uguali. Gesù insiste spesso su questa esigenza di perdersi nell’amore: «Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà» (Lc 17,33).
Cosa rimane dunque? Rimane il sapore nella bocca di chi ha mangiato la nostra minestra. Rimane la salvezza di chi ha attraversato la città illuminata.
Il sale non resta deluso perché è scomparso, né la luce è triste perché si è consumata. Non giudicare dunque la tua vita da quanto è pieno il barattolo del sale o la bottiglia dell’olio, né da quanti ti hanno ringraziato: forse non a tutti piacerà la tua minestra e forse nessuno approfitterà della tua lampada.
Giudica piuttosto la tua vita da quanta cura hai messo nel dosare il sale nella minestra e da quanta premura hai avuto nel ricordarti di accendere la lampada quando scendeva la sera nella vita del tuo vicino.
Leggersi dentro
– Cosa dà sapore alla tua vita in questo momento?
– Perdersi, scomparire, consumarsi: sono parole che dicono qualcosa al tuo modo di amare?
Ci sono momenti nei quali la vita sembra non avere più sapore…ed è quando si invecchia. Eppure la Bibbia è ricchissima di situazioni nelle quali agli anziani è dato un grande potere! Perché la vicinanza della morte ci richiama alla mente l’idea di oscurità, E così facciamo bilanci, pensiamo di esserci buttati via, vediamo la prospettiva sempre più corta…E invece….lo sappiamo dalla Genesi, ma adesso anche dalla fisica quantistica, che oscuro e luce coabitano e che la luce, che per noi è necessaria, viene inghiottita ma anche rigenerata. Tutto ciò che diamo e abbiamo dato non si butta via, è una legge fisica prima che religiosa. Dall’oscuro rinasce la luce, dal silenzio rinasce la voce, siamo le creature che nascono da un moto superiore che ci somiglia. Siamo il disegno e la proiezione di Dio e spesso non lo comprendiamo.
L’ha ribloggato su Clarisse Borgo Valsugana | Una vita Chiara.
L’ha ribloggato su GET UP and WALK.
“Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.”
Questa é la felicità: Imparare ad essere come il sale e la luce che svolgono il proprio compito così semplicemente senza aspettarsi altro che questo: dare sapore e illuminare e in ciò trovare senso e compimento! GRAZIE!!