Meditazione
per l’VIII domenica del T.O. anno C
3 marzo 2019
Tu le [a Monica] insegnavi quale maestro interiore
nella scuola del cuore.
Sant’Agostino
Quello che c’è nel cuore
C’è un gesto antico che oggi forse non ci capita più di vedere, è quello delle donne che con il setaccio liberano la farina dalle impurità, gettano via quello che non serve, quello che rovinerebbe la pasta, e conservano prudentemente l’ingrediente prezioso che poi trasformeranno in qualcosa di buono, capace di sfamare.
Altri ricordi forse ci rimandano a paesi lontani dove si cercava l’oro. Anche lì, il setaccio diventava uno strumento prezioso. Pazientemente veniva riempito di piccole quantità della sabbia del fiume, nella speranza di scoprire qualcosa di prezioso. E tante volte si rimaneva delusi, ma possiamo immaginare la gioia quando si trovava qualcosa di valore.
La nostra vita, come insegna il libro del Siracide, è quel setaccio che lascia trasparire quello che ci portiamo nel cuore:
Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti;
così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti. Sir 27,4
Dentro di noi ci sono tante cose, buttate alla rinfusa, a volte poco riconoscibili per la melma che le avvolge, per le acque torbide che ci attraversano, o forse solo perché sepolte molto profondamente. Dentro quel setaccio ci sono i nostri desideri, i pensieri, i sentimenti. Anche per questo, il setaccio è diventato il simbolo del discernimento, che fa anche da sfondo alle letture di questa domenica.
La vita rivela il cuore
Tutto quello che è conservato o disperso dentro di noi prima o poi si rivela. La nostra bocca, le nostre azioni, rivelano quello che c’è nel cuore. Anche Gesù pone questa relazione molto stretta tra il cuore, la bocca, le mani. Non resteremmo sorpresi o spaventati dalle nostre azioni, se avessimo una maggiore consapevolezza di quello che si sta muovendo dentro di noi. I nostri gesti, i nostri discorsi, il nostro comportamento non sono casuali, ma nascono da quello che abbiamo seminato dentro di noi.
Talvolta siamo così pieni di pensieri in ordine sparso al punto tale che è difficile recuperarne il senso. La nostra interiorità diventa come una camera affollata e in disordine dove diventa complicato cercare quello che ci serve, ma soprattutto dove il male si annida e si confonde. In una stanza non curata si nascondono a volte tracce di cibo che imputridiscono, ne senti il lezzo, ma non riesci a trovarle.
Per questo i padri del deserto insegnavano la sobrietà, quella capacità di fare spazio nel cuore per vedere meglio quello che c’è. Esichio il Sinaita scrive per esempio: «La sobrietà è una sentinella immobile e costante dello spirito, che sta sulla porta del cuore per discernere diligentemente i pensieri che si presentano, per ascoltare i loro progetti, spiare le manovre di questi nemici mortali e riconoscere l’impronta demoniaca che tenta, mediante la fantasia, di sconvolgere lo spirito. Questa attività, condotta avanti con coraggio, ci darà, se lo vogliamo, un’esperienza molto accorta del combattimento spirituale».
Una questione di sguardi
Diventiamo cechi quando non guardiamo più nel nostro cuore. E paradossalmente più siamo ciechi verso noi stessi, tanto più abbiamo la pretesa di vedere bene nel cuore degli altri. O l’uno o l’altro: chi è ossessionato dalla vita degli altri, chi fissa lo sguardo sulla vita degli altri, non vede più la propria; chi invece si occupa del proprio cuore, distoglierà lo sguardo dalle azioni degli altri. E in questo sguardo su di noi o sugli altri sta l’alternativa tra la misericordia e il giudizio.
Chi ignora quello che c’è nel proprio cuore, non vive neppure l’esperienza della grazia, per questo pretende di dirigere la vita degli altri solo con la giustizia. I falsi maestri sono molto spesso tra noi credenti: sono coloro che pretendono di applicare il Vangelo solo agli altri e non a se stessi, proprio perché non vedono se stessi, ma sono ossessionati dalla vista degli altri.
Riconoscere la radice
Se ci siamo accorti che i frutti che nascono dalla nostra vita non hanno un sapore buono, sarebbe utile andare a vedere cosa li ha prodotti. Se dalla nostra vita scaturisce un vino acido, forse è il caso di prendersi cura della vite. Usando queste immagini, Gesù anticipa anche quello che sarà il frutto dell’albero della croce. La croce è l’albero da cui scaturisce il frutto che dà vita e che annulla il veleno che il frutto carpito da Adamo ha immesso nel mondo. Il sangue che scaturisce dalle ferite di Cristo è il vino della nuova alleanza, il vino della promessa che ci permette di entrare nella vita per sempre. Ecco perché Cristo è non solo il Maestro, ma anche colui che conosce il proprio cuore e proprio per questo è Signore di misericordia.
Leggersi dentro
– Cosa traspare di te dal modo in cui ti comporti?
– Quanto sei consapevole di quanto si muove nel tuo cuore?
versione originale su clerus.va
Si cambia, si dice, col tempo. Ed e’ giusto che sia cosi. Forse quello che non va e’ volere a tutti i costi mantenere una dipendenza affettiva sterile. Bisogna avere il coraggio di tagliare questo benedetto cordone ombelicale che ci rende, oramai fuori dal tempo utile alla sua funzione vitale, inerti e morti. Altra cosa e’ un cuore ardente, libero e riconoscente del DONO dell’Amore di Dio che vuole noi uomini capaci di scegliere tra il Bene ed il Male.
Comincio sempre dal corpo, da quello che c’è … una tensione un’apnea di respiro sento le mie contratture … ormai so che si tratta di qualcosa che conosco e che viene da lontano. E ogni volta mi domando – di che cosa ho veramente paura? – di non essere all’altezza delle richieste degli altri e quindi di venire rifiutata, di morire senza aver cambiato qualcosa di me … ma ho gli esercizi di autoconoscimento per guardare alle mie distorsioni e la pratica meditativa dove posso dialogare con le mie parti immature, accoglierle, ma dando credito alla coscienza osservante, poi c’è la preghiera. L’intreccio di queste pratiche mi aiuta ad ammorbidire lo sguardo e far diventare più fluida la comunicazione con gli altri. Sono piccole luci, piccole speranze di poter vincere la durezza di Narciso.
Penso, questo è il tempo cui, a volte, in considerazioni delle terminazioni cui siamo attratti, ci sentiamo come colui che ha urtato violentemente, stando fermi.
Penso, a volte raggiungiamo una aritmia totale che si auto amplifica fino a raggiungere il parossismo da urto.
Penso, siamo consapevoli, nei momenti di calma trasparente, di come si muove il cuore, quando questi è in euritmia con la mente.
L’equilibrio nel disbrigare gli impegni quotidiani, come tempo e peso, non carica la mente e mi permette di guardare il caratteristico movimento del piccione, osservare attentamente il geco che mi viene a trovare attraversando il balcone aderendo e camminando lungo il parapetto interno e chiedermi come può aderire lungo la parete verticale e non cadere, disinteressarsi dei segni invisibili, intravedere la nascita della nuova gemma nella pianta scantonata.
Appena alzato, mi sono ripromesso di mantenere, per l’intero giorno, l’equilibrio nel disbrigare gli impegni quotidiani, ci riuscirò almeno questa volta?