Meditazione per la
XXXIII domenica del T.O. anno C
17 novembre 2019
«Un ventre di miserabile
ha più bisogno d’illusioni che di pane».
G. Bernanos
Che vuoi che sia
Sebbene sia stato un gesto certamente eroico, l’immagine dell’orchestra del Titanic che suonò fino alla fine, mentre il transatlantico si inabissava, resta un’emblematica immagine di un mondo che non vuole vedere quello che sta avvenendo. Succede infatti che nei tempi di crisi siamo maggiormente indotti a trovare situazioni che ci possano distrarre. Si tratta di un meccanismo di difesa che automaticamente mettiamo in atto, ma che nello stesso tempo rischia di impedire che ci attiviamo per trovare delle risorse adeguate che potrebbero aiutarci ad affrontare la crisi. Alcuni esperti sostengono che la musica dell’orchestra del Titanic avrebbe creato tra i passeggeri un clima di sicurezza tale da rallentare le procedure per mettersi in salvo. In ogni epoca di crisi siamo più inclini ad ascoltare una musica piacevole piuttosto che prendere atto di quello che sta avvenendo. Anzi, in ogni tempo di crisi ci sarà chi metterà in scena spettacoli allettanti per impedire che vengano identificati i responsabili del naufragio.
Aprire gli occhi
Anche nel testo del Vangelo di Luca di questa domenica, che ci porta all’interno del discorso escatologico, cioè del discorso sui momenti finali, quelli appunto della crisi, troviamo i discepoli che sono rapiti, e distratti, dall’ammirazione per le belle pietre del Tempio. Al contrario, Gesù vorrebbe aiutarli a diventare consapevoli del loro tempo. Li invita a guardare i segni dei tempi che segnalano l’evolversi degli eventi e preannunciano la fine.
Si salvi chi può
Il tempo della crisi è un tempo apocalittico, cioè, come dice la parola, rivelativo. Nella crisi siamo scoperti, messi a nudo. Ciascuno viene fuori per quello che è. I discepoli, per esempio, si scoprono paurosi ed egoisti: chiedono a Gesù quando sarà la fine e, soprattutto, come possono capire quando è il momento di tagliare la corda. Nel tempo della crisi, molti, come i discepoli, penseranno prima di tutto a se stessi. Nelle situazioni difficili, le persone dimenticano il bene comune e cominciano a calcolare come salvaguardare i propri interessi. Ecco perché, nei periodi di crisi, è difficile trovare una politica che si preoccupi del bene comune.
L’immagine spietata dei discepoli che emerge da questi versetti, contrasta con quella della vedova che Gesù ha indicato immediatamente prima, all’inizio di questo capitolo 21 di Luca: una vedova che mette nel tesoro del tempio tutto quello che aveva per vivere. Una donna che non guarda al proprio interesse, ma che si spende fino alla fine per Colui che dà senso alla sua vita.
Questo lo dice lei!
Il tempo della crisi è sempre, come Gesù ricorda in questi versetti, un tempo di contrapposizioni e di ambiguità: popolo contro popolo e regno contro regno. Persino il messaggio evangelico diventa ambiguo: Gesù prevede già che la sua parola sarà strumentalizzata. Quando abbiamo paura non siamo lucidi, vogliamo risposte facili e immediate. Alcuni approfittano di questa debolezza. Bisogna essere vigilanti e verificare con attenzione se ciò che ci viene presentato come evangelico lo è veramente.
Fuggire o rimanere?
Nel tempo della crisi non è facile mantenere l’equilibrio, per questo Gesù invita a esercitare la virtù della ypomonè, espressione che vuol dire perseveranza, ma anche pazienza; letteralmente significa rimanere sotto, cioè sostenere, ma anche sopportare. Entrambi questi atteggiamenti sono fondamentali quando viviamo momenti faticosi e oscuri. È esattamente il contrario dell’atteggiamento dei discepoli che vogliono fuggire e liberarsi da ogni peso.
La crisi è adesso
Quando Luca scrive questo testo, la comunità a cui si rivolge sta probabilmente vivendo già il tempo della crisi. Le parole di Gesù vengono rilette alla luce del momento presente. E in fondo è quello che fa ogni comunità, in ogni momento della storia, quando ascolta la parola di Gesù nel presente. La comunità a cui Luca si rivolge ha visto probabilmente la distruzione del Tempio, che, iniziato nel 64 d.C., era stato distrutto solo sei anni dopo, durante l’invasione dei Romani. Anche le persecuzioni di cui parla il testo si riferiscono probabilmente a persecuzioni cui la comunità ha assistito, forse quelle in cui erano stati uccisi Stefano e Giacomo.
Forse anche noi leggiamo questi versetti pensando al nostro presente, forse anche tra noi c’è chi continua a guardare le belle pietre o vuole che noi continuiamo a guardare le belle pietre per non diventare consapevoli dei segni della crisi e della nave che affonda. Questo Vangelo può essere un invito a svegliarci e a organizzarci per provare a trovare delle strategie per affrontare la crisi, senza mai perdere l’intima convinzione che il Signore è con noi e non abbandona la nave senza prima averci messo in salvo.
Leggersi dentro
- Come definiresti questo tempo che stiamo vivendo e qual è il tuo atteggiamento?
- Nei momenti di crisi sei capace di confidare nella presenza del Signore o ti lasci prendere dallo sconforto e dalla sfiducia?
Versione originale su http://www.clerus.va
Andiamo avanti, come al solito, e non stiamo troppo a sentire i catastrofisti, perche’ c’e’ sempre il Signore che veglia su di noi con sua Madre. E noi le siamo stati affidati, in punto di morte.
Siamo in transizione di fase, è l’alba di una trasformazione di cui la mia generazione molto probabilmente non vedrà il compimento … il mio impegno è costantemente rivolto a fluidificare la sostanza dell’anima per lasciarmi sempre più coinvolgere in questo processo.
Certo, nei momenti faticosi e oscuri tendo automaticamente a rifugiarmi nel mio setting di default, ma ora posso anche contare sul cammino fatto a piedi nudi sul pavimento del Vangelo, che è una dinamo dalla quale attingo la forza per smascherare la mia difesa, smontare i suoi automatismi ed esercitare la virtù della yponomè nei momenti in cui una sofferenza indicibile pretende di possedermi.
Le riflessioni sul Vangelo di Luca mi hanno reso via via più consapevole che nell’Annuncio è offerta la chiave per la trasformazione interiore di ogni uomo e donna di buona volontà, di ogni tempo e in ogni tempo della loro vita: un amore che ti guarda come nessuno ti ha mai guardato, senza disprezzo col desiderio di venire a te, donarsi a te, impuro, per purificarti e santificarti, per portarti il dono più bello, la salvezza da ogni male, che ti dà la libertà della condivisione e del dono … solo questo amore può cambiarci, trasformarci, convertirci!
Grazie Padre Gaetano !
Ricordo, sala di aspetto in attesa di entrare nello studio medico, vocio che aumenta con i tempi di attesa, si apre la porta dello studio, si presenta il dottore e con tono deciso: “Vi ricordo che siete dei pazienti, quindi pazientate!”.
Per riparare, migliorare, aumentare la tessitura della nostra esistenza dobbiamo ypomonè nella sala di aspetto, impersonata da questo mondo, del Sommo Medico ascoltando e tentando di seguire la Sua Terapia?
A volte è tempo di tenere pronto il “saio”.
Ci si può trovare nel centro di una difficoltà iniqua. Se manca l’ascoltatore a cui rivolgersi o il tempo da dedicare alle rimostranze e si vuole risolvere, penso, ci si ingegna con ciò che ci circonda.
Mi occupo di un’associazione dilettantistica che promuove lo sport per disabili intellettivi relazionali, https://www.ceciliasport.it .
Per gli allenamenti i ragazzi necessitano di una palestra. Un periodo lo spazio non era libero. Ho bussato finché si è aperta una porta ospitante.
Per il futuro prossimo, per superare gli aleatori ascolti di cortesia, ho pronto il “saio francescano” nel caso ci verrà a mancare l’area dove allenarci.
Grazie, Giuseppe, per la tua condivisione, della quale colgo l”interpellazione come cura al mio egocentrismo.
È vero, se si è discepoli si riconosce che Gesù c’entra con la concretezza del vivere e che il suo ritorno ACCADE ogni giorno nelle occasioni che ci sono date dall’incontro con gli altri soprattutto quelli che vivono situazioni di indigenza, infermità disabilità. Stupendi i tuoi atleti, bellissimo quello che fate per loro!
Carissima Lidia, una domanda che mi attraversa in continuazione: “Perché disabili?”. Un aiuto a capire e quindi ad avvicinarmi al concetto trascendentale che tenta di giustificare la presenza di questa diversità mi è venuto dal discorso del filosofo ebreo Hans Jonas sul razzismo.
Jonas fu perseguitato sotto il nazismo e costretto a fuggire, la madre morì nei campi di concentramento.
Scrive Hans: “… Forse deluderò i miei ascoltatori esprimendo la convinzione chi fino a quando esisteranno differenze razziali – e, ricordatevi, spero esisteranno sempre poiché la loro scomparsa impoverirebbe l’umanità – ”
Quando lo lessi la prima volta a questo punto mi bloccai. Possibile chi ha tanto sofferto si auspica che la causa esista sempre ?
Riprendo a leggere: “… E’ una prova che si ripete di continuo e che misura il nostro grado di civiltà, nel senso morale del termine, sia in quanto singoli individui sia in quanto comunità – una prova, in realtà, della maturità del nostro essere umani -, di come, bene o male, ci comportiamo quando abbiamo a che fare con tensioni di questo genere che non cesseranno mai.”
Il livello di maturità di una comunità, mi insegna questo discorso, è pari al suo impegno relazionale verso le diversità. Un compito non facile, ma come mi hanno trasmesso, si matura affrontando le difficoltà e ci si arricchisce, altrimenti si impoverisce l’animo.
A volte ti rendi conto di essere una Mosca bianca se proponi un linguaggio diverso da quello della massa. Dobbiamo solo perseverare nonostante vogliano farci cambiare idea.
Grazie Padre Gaetano
“Le memorie di Adriano” si prestano a leggere l’oggi in chiave nostalgica ovvero simulandone la durezza e la nostra responsabilità. Quello che rifuggiamo non è tanto una lettura della crisi in cui siamo – epoche passate sono state oggettivamente molto più cruene – ma un nostro coinvolgimento diretto. Suonano alla porta, bussano in modo così forte che potrebbe cedere; eppure, non sentiamo, non apriamo.
Quando l’orizzonte è buio e gobbo riesce difficile alzare lo sguardo ovvero abbassarlo ancora per sopportare il peso e capire che il tuo sudore – non il tuo sorriso ovvero peggio ancora la tua affermazione – è quello di Cristo.
Non ci risciamo, ma ne intuiamo la presenza-