meditazioni

Questa vita non ha più sapore! Le colpe di noi cristiani

Meditazione

per la Quinta domenica del T.O. anno A

9 febbraio 2020

 

Vedo, ottimo Diogneto,

che tu ti accingi ad apprendere la religione dei cristiani […]

quale amore si portano tra loro, e perché questa nuova stirpe

e maniera di vivere siano comparsi al mondo ora e non prima.

Lettera a Diogneto

 

Una cattiva testimonianza

Sono sempre più convinto che uno dei motivi per cui la gente abbandona la fede o non si avvicina a Dio sia da ricercare nella testimonianza della comunità cristiana. Diamo l’immagine di persone divise, appartenenti a gruppi di potere che si scontrano continuamente su ogni cosa. Facciamo fatica a costruire la comunione, anzi ci facciamo guerra. I nostri contesti ecclesiali sono spesso luoghi di assurde scalate al potere, anche quando il potere significa decidere dove piazzare il vaso con i fiori. In poche parole, il grande nemico delle testimonianza del Vangelo è l’incoerenza, quella distanza che passa tra le parole che pronunciamo nelle nostre preghiere e nelle nostre assemblee liturgiche e la vita concreta che ci vede spesso protagonisti di rancori, intolleranze e vendette.

 

Una pratica vuota

In fondo si tratta di una situazione molto simile a quella descritta nel capitolo 58 di Isaia. Questo testo appartiene alla terza parte del Libro di Isaia ovvero a quegli scritti che si collocano nel periodo del ritorno dall’esilio: il popolo si ritrova davanti alle macerie e alla necessità della ricostruzione. In questo contesto di fatica, di difficoltà economiche e sociali, invece di intraprendere atteggiamenti di solidarietà, ognuno cerca di ricostruirsi una propria immagine, usando a tale scopo persino il culto. La pratica del digiuno, ci dice specificamente questo testo, diventa semplicemente un modo per farsi vedere giusti. Ma a questa pratica non corrispondono gesti concreti di solidarietà. Dietro questo atteggiamento c’è un’idea confusa di Dio: come se Dio volesse i nostri sacrifici personali e non la cura e la preoccupazione per coloro che hanno bisogno. C’è un fraintendimento delle fede, una distorsione dell’immagine di Dio. Ma, come ci ricorda il salmo 111, l’osservanza delle pratiche religiose ci renderà al più corretti (formalmente), ma non giusti: la giustizia sta nella pratica dell’amore che non sempre può essere misurata sulla base dell’osservanza dei precetti.

 

Una comunità chiamata ad annunciare

Ma Gesù insiste, proprio alla fine del discorso sulle Beatitudini, nel persuadere la comunità affinché diventi consapevole della sua missione di evangelizzazione: siete proprio voi, perseguitati e oltraggiati, che diventate strumento privilegiato dell’annuncio del Vangelo. A tale scopo, Gesù usa due immagini: il sale e la luce.

Si tratta di due immagini che hanno molto in comune e che descrivono il modo in cui la comunità è chiamata a vivere per annunciare il Vangelo: il sale e la luce raggiungono il loro scopo consumandosi, si tratta di perdersi e di scomparire, come il sale nella minestra e come l’olio nella lampada. Si tratta di un modo di amare discreto. Il sale e la luce sono al servizio degli altri: il sale dà sapore al cibo perché qualcun altro possa mangiarne, la lampada fa luce affinché qualcun altro possa camminare sicuro. Il sale e la luce sono dunque immagini di un amore che non cerca se stesso, ma si mette generosamente a servizio di altri. Questo è l’amore del cristiano. Questa è la testimonianza che dovremmo dare, questo è il parametro con cui confrontarci.

 

Gente che dà sapore

La comunità è come il sale della terra. Un’espressione apparentemente incomprensibile, che forse vuole alludere alla necessità di portare il Vangelo dappertutto. L’immagine del sale richiama ovviamente il sapore. Il sale che non-ha-sapore richiama sia in greco che in aramaico anche l’insipiente, lo sciocco. Se la comunità dei discepoli perde la sapienza del Vangelo, chi annuncerà la Parola di Dio? I cristiani sono invece coloro che devono dare sapore alle situazioni in cui vivono attraverso la sapienza del Vangelo. Come il sale, i cristiani dovrebbero fare la differenza là dove vengono messi.

 

Non nasconderti

La luce è invece nella tradizione ebraica immagine della Legge, quella Legge che insegna come vivere. La comunità deve portare questa luce nel mondo. La luce è fatta per splendere non per rimanere nascosta. Qui si allude forse al bisogno del coraggio: la vita di ognuno di noi è luce chiamata a splendere. Mettere la lampada sotto un secchio vuol dire spegnerla, soffocarla. Eppure molte volte ci lasciamo mettere un secchio addosso, talvolta noi stessi, per vergogna o per paura, ci nascondiamo sotto un secchio. Ma in questo modo la nostra vita si spegne e perde il suo senso. La vita di ciascuno di noi è lampada che non può non illuminare. Nessuno può pensare che la propria vita sia inutile.

Ma ancor di più, dunque, è la comunità stessa che è chiamata a essere lampada che splende davanti agli uomini. Siamo chiamati a illuminare il mondo con la nostra comunione, con le nostre relazioni ispirate a una logica diversa da quella del mondo. La comunità si ritrova nelle mani un dono e al contempo una responsabilità enorme. Le azioni e i gesti che viviamo tra noi possono essere via che porta a Dio o ostacolo che impedisce agli altri di incontrarlo.

 

 

Leggersi dentro

  • Come vivi il dono e la responsabilità di annunciare il Vangelo?
  • Qual è il tuo contributo e la tua testimonianza nella costruzione delle relazioni comunitarie?

 

versione originale su http://www.clerus.va

1 comment

  1. Grazie Daniela. Oggi la predica è stata bellissima e intensa…luce e sale quanta ricchezza in qst cose semplici e servizio non chiedendo nulla in cambio. Un abbraccio grazie!

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