sia pure tutta squassata, alla desiderata quiete”,
Agostino, De beata vita, 1,4
Il viaggio della vita
Non sempre riusciamo a portare integra la barca della nostra vita sull’altra sponda del lago. Attraversiamo tempeste, affrontiamo gli ammutinamenti interni, subiamo il fuoco amico e l’assalto dei pirati. Eppure quella barca tutta squassata racconta la nostra storia, il nostro viaggio.
Forse non a caso, la barca è diventata immagine della Chiesa che solca le onde dei tempi e a volte si infrange sugli scogli di una logica umana.
Una comunità imperfetta
Anche i discepoli alla fine del Vangelo si ritrovano davanti a Gesù con una barca che porta i segni del dubbio e della fatica. Si tratta di una nave che ha perso dei pezzi, che non è arrivata integra alla fine del suo viaggio.
Lungo tutto il Vangelo siamo diventati familiari del numero dodici. Dodici uomini, tanto diversi tra loro, che costituivano il primo nucleo dei discepoli del maestro. Quel numero evocava un tempo nuovo, la ricostruzione del Regno di Israele: le dodici tribù dell’antico popolo che ora si estendono all’umanità intera. E invece in questa scena finale troviamo un altro numero: davanti a Gesù, in Galilea, nella terra dove tutto era cominciato, si ritrovano in Undici. Come la barca squassata, ora quel numero racconta una storia, una storia di cammino, di amicizia, di speranze e di tradimenti.
Eppure, è a quella comunità imperfetta che Gesù affida il compito di portare la sua Parola in tutto il mondo.
Una storia da raccontare
Spesso ci vergogniamo della nostra storia, ci vergogniamo delle cicatrici che portiamo addosso, vorremmo nasconderle. Gesù invece ci prende come siamo, anche in Undici, perché sarà proprio quella storia di fallimenti e di sconfitte a rendere credibile la nostra parola. Racconteremo infatti come siamo stati salvati, come siamo stai raggiunti nelle nostre tempeste, come siamo stati amati nonostante la nostra imperfezione.
Proprio per questo i discepoli possono essere inviati a insegnare, cioè a raccontare quello che Dio ha operato nella loro vita fragile. Insegneranno agli altri come lasciarsi amare nella propria imperfezione.
La dinamica della vita spirituale
Nel gesto degli Undici davanti a Gesù c’è tutta la dinamica della nostra vita spirituale: vedono – si prostrano – dubitano. Anche noi incontriamo il Signore, lo vediamo nella nostra storia, arriviamo anche a riconoscerlo, ma poi quel ricordo pian piano si cancella e torniamo a dubitare.
Dentro una promessa
Ma in quell’ultimo incontro, raccontato dal Vangelo, c’è anche il nostro destino, possiamo intravvedere in esso la meta del cammino: Gesù si avvicina, invia ad annunciare, ci ricorda la sua promessa. La promessa di Gesù è il fondamento della missione: “sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
Tutta la vita del mondo si distende dentro questa promessa. Se andiamo infatti all’inizio del Vangelo di Matteo, ritroviamo le stesse parole: Gesù è chiamato Emmanuele, Dio con noi. Lungo il cammino possono accadere tante cose, ci possiamo perdere, possiamo tradire e dubitare, possiamo cadere e rialzarci, ma tutto, dall’inizio alla fine, è contenuto nello spazio di questa promessa di Dio: sono con voi sempre, fino alla fine.
Come tutti ho le mie cicatrici. Alcune sono ben visibili, altre più attenuate perché tutto dipende da come ho suturato la ferita ma sopratutto dalla ferita stessa. Porto con me ferite interne non ancora ben cicatrizzate,che a volte sanguinano ancora appena le sfioro ma con le quali convivo e in fondo mi dico ,da infermiera, meglio un tessuto che sanguina ( perché è vivo) che un tessuto necrotico. Quindi sì, convivo con tutte le mie cicatrici, alcune mi fanno pure tenerezza altre avrei voluto evitarle ma alla fine fanno tutte parte della mia storia e della mia vita e se Dio può amarmi così segnata chi sono io per rinnegare me stessa ? La barca della mia vita prosegue , a volte devo avere il coraggio di buttare a mare il superfluo per proseguire il viaggio con maggior vigore,altre volte devo fare tappa per rifornimenti,altre volte le tempeste della vita la sconquassano ma lo scafo è solido e la fiducia di arrivare un giorno alla destinazione è ancora salda. Mi piace pensare che al mio arrivo Dio mi riconosca dalle mie cicatrici !
Mi sono ritrovata in tanti passi del tuo pensiero….. bella l’immagine del buttare fuori dalla barca il superfluo, ma chi ci dice che è superfluo…. io forse sono un’accumulatrice seriale….. come nelle mie scartoffie penso che possa servirmi qualcuna di loro….. e quando mi sono disfatta di qualcuna di loro mi sono sentita smarrita e mi è capitato di cercarla poi….. Le cose che viviamo sono un pezzo della nostra vita, ognuna nel suo ci appartiene, ci ha dato e ci ha tolto, ma ci siamo noi, con la nostra grandezza o meschinità, ma siamo noi, li in quel momento, e con noi c’era anche Lui.
Grazie per la tua condivisione.
In un momento di dubbio sulla Fede e gli uomini di fede, ho chiesto due giorni fa al Signore..Che cosa devo fare della mia vita? La risposta interiore, – ormai la sento proprio e usa un suo linguaggio e una grammatica particolare – è stata: “Lasciarla decantare nelle strade del mondo” … la sua parola in risposta alla mia. L’ ho interpretata “Lasciati vivere lentamente dalla Vita stessa. poi..verrà un giorno”.
Grazie Padre Gaetano! Mi colpisce e mi fa riflettere parecchio questa meditazione. Perché vergognarsi della propria storia? Eppure anche io ho cose di cui vergognarmi, ma Gesù con la sua Infinita Misericordia perdona i peccati del peccatore pentito e copre queste vergogne. E anziché vergognarmi della mia storia,l’ho condivisa e la condivido con coloro che sono diventati ottimi amici e questo mi ha aiuta a stare nettamente meglio. Ci metto tutta me stessa per accettare la mia imperfezione. Mi fido di Dio e mi affido a Dio. E so che è lui che mi fa incontrare belle persone (anche attraverso i social networks)…
Ricordo nel rimuginare il film MATRIX mi tira su un è “l’eterno ritorno”, preso da Nietzsche.
Inizio da «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?»,
proseguo con «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?»,
arrivo a Neo, il predestinato del film, cercato disperatamente da una comunità che vive in un rifugio in una barca-sottomarino per fuggire da un invincibile nemico, per loro, e quindi condurla alla luce del sole.
Sempre alla ricerca di un nocchiero comandante che calmi il pelago burrascoso e accompagni ad una solida riva.
L’eterno ritorno cercato finisce come Neo, completato il percorso, iniziato con una terapia riabilitativa, in cui gli vengono ricostruiti i muscoli che nell’immobilità non ha mai usato, lascia la comunità di nuovo nel pelago in eterna attesa.
La terapia che sviluppa i muscoli che aiutano a non vivere continuamente nel mare in tempesta?
Agostino l’ha trovata, c’è riuscito.
Continuo a cercare …..
Senza uno specchio l’imperfezione non la vedi. E lo specchio per me resta la Parola che in questo periodo mi ha più volte costretto a fare i conti con i miei fondali limacciosi. Credo che la promessa di Dia sia un po’ riconoscersi in quello specchio e vedersi non soli.
Querido Gaetano, muchísimas gracias. Atravesar el lago, llegar a la otra orilla, a veces no es como se quiere, sino como se puede.
Pero solo quien se confía en la promesa hace el cálculo de su viaje, no en lo que ha perdido sino en lo que va alcanzar
Quante ferite….. tante…..troppe…..ma ognuna ha segnato un tempo di caduta e di rinascita, un’occasione per crescere, ritrovare e rinsaldare la mia fede. Nel vivo della ferita sanguinante ho trovato il Medico Supremo, li ho incontrato il Signore….. come non amare le mie ferite… provocano ancora dolore, anzi no, sensibilità… mi fanno tornare al dolore provato ed alla successiva guarigione…. ne il corpo , ne la mente, ma soprattutto il cuore, dimenticano il dolore e la gioia. Come un souvenir da posti lontani ci porta indietro alla nostra debolezza e alla mano tesa che ci ha sostenuto…. e ci proietta in avanti all’ultimo incontro. Bello il cuore rammendato….. è sinonimo del grande amore vissuto.
Grazie padre Gaetano per questi spazi di infinito ❤️🙏
Come tutti ho le mie cicatrici. Alcune sono ben visibili, altre più attenuate perché tutto dipende da come ho suturato la ferita ma sopratutto dalla ferita stessa. Porto con me ferite interne non ancora ben cicatrizzate,che a volte sanguinano ancora appena le sfioro ma con le quali convivo e in fondo mi dico ,da infermiera, meglio un tessuto che sanguina ( perché è vivo) che un tessuto necrotico. Quindi sì, convivo con tutte le mie cicatrici, alcune mi fanno pure tenerezza altre avrei voluto evitarle ma alla fine fanno tutte parte della mia storia e della mia vita e se Dio può amarmi così segnata chi sono io per rinnegare me stessa ? La barca della mia vita prosegue , a volte devo avere il coraggio di buttare a mare il superfluo per proseguire il viaggio con maggior vigore,altre volte devo fare tappa per rifornimenti,altre volte le tempeste della vita la sconquassano ma lo scafo è solido e la fiducia di arrivare un giorno alla destinazione è ancora salda. Mi piace pensare che al mio arrivo Dio mi riconosca dalle mie cicatrici !
Mi sono ritrovata in tanti passi del tuo pensiero….. bella l’immagine del buttare fuori dalla barca il superfluo, ma chi ci dice che è superfluo…. io forse sono un’accumulatrice seriale….. come nelle mie scartoffie penso che possa servirmi qualcuna di loro….. e quando mi sono disfatta di qualcuna di loro mi sono sentita smarrita e mi è capitato di cercarla poi….. Le cose che viviamo sono un pezzo della nostra vita, ognuna nel suo ci appartiene, ci ha dato e ci ha tolto, ma ci siamo noi, con la nostra grandezza o meschinità, ma siamo noi, li in quel momento, e con noi c’era anche Lui.
Grazie per la tua condivisione.
Grazie. Mirate riflessioni in questo tempo di “uscita”…per la gioia delle Donne della Risurrezione che ” corrono” fuori per raccontare …l’Incontro.
In un momento di dubbio sulla Fede e gli uomini di fede, ho chiesto due giorni fa al Signore..Che cosa devo fare della mia vita? La risposta interiore, – ormai la sento proprio e usa un suo linguaggio e una grammatica particolare – è stata: “Lasciarla decantare nelle strade del mondo” … la sua parola in risposta alla mia. L’ ho interpretata “Lasciati vivere lentamente dalla Vita stessa. poi..verrà un giorno”.
Grazie Padre Gaetano! Mi colpisce e mi fa riflettere parecchio questa meditazione. Perché vergognarsi della propria storia? Eppure anche io ho cose di cui vergognarmi, ma Gesù con la sua Infinita Misericordia perdona i peccati del peccatore pentito e copre queste vergogne. E anziché vergognarmi della mia storia,l’ho condivisa e la condivido con coloro che sono diventati ottimi amici e questo mi ha aiuta a stare nettamente meglio. Ci metto tutta me stessa per accettare la mia imperfezione. Mi fido di Dio e mi affido a Dio. E so che è lui che mi fa incontrare belle persone (anche attraverso i social networks)…
Ricordo nel rimuginare il film MATRIX mi tira su un è “l’eterno ritorno”, preso da Nietzsche.
Inizio da «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo aspettare un altro?»,
proseguo con «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?»,
arrivo a Neo, il predestinato del film, cercato disperatamente da una comunità che vive in un rifugio in una barca-sottomarino per fuggire da un invincibile nemico, per loro, e quindi condurla alla luce del sole.
Sempre alla ricerca di un nocchiero comandante che calmi il pelago burrascoso e accompagni ad una solida riva.
L’eterno ritorno cercato finisce come Neo, completato il percorso, iniziato con una terapia riabilitativa, in cui gli vengono ricostruiti i muscoli che nell’immobilità non ha mai usato, lascia la comunità di nuovo nel pelago in eterna attesa.
La terapia che sviluppa i muscoli che aiutano a non vivere continuamente nel mare in tempesta?
Agostino l’ha trovata, c’è riuscito.
Continuo a cercare …..
Senza uno specchio l’imperfezione non la vedi. E lo specchio per me resta la Parola che in questo periodo mi ha più volte costretto a fare i conti con i miei fondali limacciosi. Credo che la promessa di Dia sia un po’ riconoscersi in quello specchio e vedersi non soli.
Querido Gaetano, muchísimas gracias. Atravesar el lago, llegar a la otra orilla, a veces no es como se quiere, sino como se puede.
Pero solo quien se confía en la promesa hace el cálculo de su viaje, no en lo que ha perdido sino en lo que va alcanzar
Quante ferite….. tante…..troppe…..ma ognuna ha segnato un tempo di caduta e di rinascita, un’occasione per crescere, ritrovare e rinsaldare la mia fede. Nel vivo della ferita sanguinante ho trovato il Medico Supremo, li ho incontrato il Signore….. come non amare le mie ferite… provocano ancora dolore, anzi no, sensibilità… mi fanno tornare al dolore provato ed alla successiva guarigione…. ne il corpo , ne la mente, ma soprattutto il cuore, dimenticano il dolore e la gioia. Come un souvenir da posti lontani ci porta indietro alla nostra debolezza e alla mano tesa che ci ha sostenuto…. e ci proietta in avanti all’ultimo incontro. Bello il cuore rammendato….. è sinonimo del grande amore vissuto.
Grazie padre Gaetano per questi spazi di infinito ❤️🙏