Meditazione per la XV domenica del T.O. anno A
12 luglio 2020
“L’uomo parla. Noi parliamo nella veglia e nel sonno. Parliamo sempre, anche quando non proferiamo parola, ma ascoltiamo o leggiamo soltanto, perfino quando neppure ascoltiamo o leggiamo, ma ci dedichiamo a un lavoro o ci perdiamo nell’ozio”.
M. Heidegger
Siamo parabole
Il nostro modo di comunicare dice molto del nostro modo di amare. C’è un rapporto profondo tra le parole che pronunciamo, o che evitiamo di dire, e le relazioni che costruiamo. La nostra vita parla sempre, inevitabilmente. Parliamo con i nostri silenzi e con i nostri sguardi, con le nostre decisioni e con la nostra indifferenza. La nostra vita è sempre una parabola. Parabola viene infatti da para-ballein, gettare avanti. La nostra esistenza è sempre gettata avanti agli altri, siamo esposti, ci riveliamo per quello che siamo.
Il modo in cui comunichiamo lascia perciò sempre un segno, non passa mai senza lasciare traccia nel terreno della vita degli altri. Il modo in cui attraversiamo quei campi dice anche il modo in cui abbiamo amato.
Un modo di amare
Questa dinamica umana è evidentemente alla base dell’immagine del seminatore usata da Gesù. Anche Dio infatti attraversa il terreno della nostra esistenza e lo trova inevitabilmente in condizioni diverse. Come un campo vive stagioni diverse, così la nostra vita è segnata ora dalla superficialità, ora dalle preoccupazioni e dalla sofferenza, ma talvolta è caratterizzato anche dalla disponibilità.
Questo seminatore strano, improbabile, originale, rappresenta allora non solo il modo in cui Dio getta la sua parola nelle nostre esistenze complicate, ma racconta anche il modo in cui Dio ama ogni terreno. Il seminatore non aspetta infatti che il campo sia pronto ad accogliere il seme, ma getta la sua parola in qualunque tipo di terreno. Il seminatore non fa calcoli, non getta il seme solo laddove prevede di trarre più frutto, ma rischia, investendo su qualunque tipo di terreno.
Quando ero piccolo, ricordo che durante il catechismo, quando si leggeva questa parabola, giungeva inevitabilmente una domanda: “e tu, che tipo di terreno sei?”. Oggi, però, mi sembra che quella domanda sia inopportuna: la parabola non vuole condannare o premiare la situazione che sto vivendo, ma vuole farmi comprendere che in qualunque condizione io mi trovi, Dio continua a compromettersi con me. Dio getta la sua parola, si comunica, mi ama, qualunque sia la stagione che sto attraversando.
Sprecare
Il modo in cui il seminatore lavora, dice lo stile in cui Dio ama: chi ama veramente, spreca, non fa calcoli, non aspetta che l’altro sia perfetto per amarlo, non si compromette solo laddove sa di poterne trarre vantaggio o dove spera di averne un ritorno. Quello non è amare e soprattutto non è lo stile di Dio.
È vero che abbiamo spesso considerato la reciprocità come un valore fondamentale della nostra cultura: mi impegno solo laddove ho la sicurezza che anche tu farai lo stesso con me. Ma questo discorso può valere a livello politico, ma non funziona nelle relazioni. E certamente non è lo stile del Vangelo.
Quando fondiamo le nostre relazioni sulla reciprocità, il nostro riferimento certamente non è Gesù, ma si tratta probabilmente di un retaggio della cultura dell’antica Grecia. Socrate, infatti, nei dialoghi di Platone, si sceglie il suo interlocutore, vuole cioè essere sicuro dell’esito della sua parola. Questo modo di comunicare trova corrispondenza nell’ideale socratico dell’amore: un amore, come dice Socrate nel Fedro, che è bastato appunto su una reciprocità e su un equilibrio tra amato e mante.
Per il Vangelo invece amiamo veramente quando rischiamo, quando sprechiamo le nostre parole, quando non facciamo calcoli, quando siamo disposti anche a perdere. Altrimenti, saremo stati al più corretti, ma non avremo amato. Come dimostra la generosità quasi illogica del seminatore, le relazioni vere non possono mai essere vissute alla luce di una ricerca di equilibrio.
Proviamo dunque a prendere consapevolezza del nostro modo di comunicare e comprenderemo molte cose del nostro modo di amare.
Leggersi dentro
– Qual è in genere il tuo modo di comunicare?
– In che modo Dio sta gettando il seme della sua parola nella tua vita?
Silvano Fausti diceva che ci sono due parole dentro di noi, una che edifica e l’altra distrugge: la vita non si gioca nella tensione fra queste realtà? Nello STARE in questa tensione tra ciò che mi chiama a sbocciare e e ciò che tende ad impedirlo? Con occhi puri e orecchi attenti per incontrare lo Spirito che continuamente apre i nostri cuori, risveglia la memoria e semina l’Amore
Grazie Padre Gaetano. Io sento che le preoccupazioni soffocano la Parola seminata. Rifletto sul mio modo di comunicare. Essere sempre me stessa senza nascondere nulla. Avere una buona comunicazione non sempre è facile. Spero di riuscire ad essere responsabile,a non offendere nessuno, ma soprattutto voglio avere lo stile di Gesù. Sento che Dio getta sempre il seme della sua parola nella mia vita. Non riesco ad esprimere come,ma sento che lo sta facendo.
È bello avere un Padre che ci ama incondizionatamente e ci ha dato suo Figlio Gesù vero Dio e vero uomo e lo Spirito Santo che ci illumina per vivere bene e in pienezza!
Come la pioggia e la neve….cosi ogni mia Parola non ritornerà a me senza operare ciò che desidero (Isaia 55).È una parola d ‘amore efficace più di una parola che semplicemente interpella.La Parola dell Amato che cerca nella notte l’Amata.Grazie
Circondato, all’andata e ritorno da San Giovanni dei Fiorentini, dal quadro metafisico del silenzio, rimugino l’omelia letta qui.
Forse, puniti perché esprimiamo troppe inutilità.
La natura si è stancata di ascoltarci. Tutti con la museruola assente di fessure.
In metro due fidanzati approcciano un bacio, la materializzazione di un dipinto di De Chirico. Ma che linguaggio è?
Penso, il primo avvertimento dalla parola causato dal suo male utilizzo.
L’educazione alla parola.
Spero è programma prioritario dall’inizio del nuovo anno scolastico.
Comunicare è anche un verbo limite; è riconoscere che ho di fronte un altro che non può essere un’eco. Quanta violenza nel dire. Quanto viene ricercata da noi una parola che divide più che un lembo di terreno da attraversare. Mi sono sforzato, con alterne fortune, ad estirpare la mala pianta della violenza, del settarismo.
Il seme della parola nella mia vita matura nel silenzio a cui riesco – a fatica – a dare spazio. E lì – quando veramente tutto tace – percepisco che quella parola è tutto, basta.