meditazioni

Le campane di vetro sono finite. Come educare all’inevitabilità della sofferenza

Meditazione per la

Ventiduesima domenica del T.O. Anno A

 

30 agosto 2020

 

“Ma cosa ti era successo, o Pietro?

Quando rinnegasti, di che cosa avesti paura?

Tutta la tua paura era di morire”.

Sant’Agostino, Discorso 253,3

 

Campane di vetro

Un caro amico, tornando da un pellegrinaggio, mi ha portato in dono una di quelle ampolle di vetro che custodiscono l’immagine del santo e che sembrano riempirsi di neve quando le agiti. Guardandola, mi sono accorto che a volte vorremmo vivere così, preservati dalle ferite e dalle fatiche della vita. Forse anche per questo quell’immagine mi riportava alla mia infanzia, quell’età in cui si sogna ancora una vita che possa non essere toccata dalla sofferenza. E invece, crescendo ti accorgi che la sofferenza c’è, ci sono le delusioni e c’è il dolore.

La sofferenza c’è ed è inevitabile come i chiaroscuri di un dipinto: la bellezza del quadro sta nel suo insieme, e la luce acquista la sua efficacia proprio laddove è stemperata dall’ombra. Altrimenti non ci resta che vivere sotto campane di vetro, come dentro un museo, ma anche qualora fosse possibile, ci penserà la durezza della vita a infrangere il vetro delle nostre difese immaginarie.

A volte ho l’impressione che anche i genitori entrino in questa logica della campana di vetro, provando a difendere i figli dalle sofferenze inevitabili della vita: sono i genitori spazzaneve che anticipano i figli nel loro cammino, si mettono davanti a loro, sgombrano per loro la strada, ma in questo modo generano in loro un vuoto profondo, non trovano più motivazioni nella loro vita e soprattutto non reggono ai minimi segnali di delusione e di difficoltà.

 

Stare dietro

La sofferenza invece va affrontata e spesso ci accorgiamo di non poterla evitare: Gesù doveva andare a Gerusalemme, consapevole della possibilità di essere umiliato e maltrattato. Ci sono strade che non possiamo fare a meno di percorrere, come per esempio quando vorresti evitare la malattia e l’invecchiamento di un genitore e invece devi starci dietro e vederlo andare via.

Come Pietro, anche noi ci mettiamo a volte a rimproverare Dio perché ci parla di sofferenza, ci sta davanti appeso a una croce, per ricordarci che la via dell’amore passa inevitabilmente anche attraverso il dolore. Pietro vorrebbe un Dio che se ne sta dentro una campana di vetro, da agitare ogni tanto per rompere la monotonia e cercare un po’ di novità.

Come Pietro, anche noi facciamo fatica a stare dietro a Gesù e appena possiamo scappiamo avanti, preferiamo precederlo, prepariamo i nostri progetti senza di lui e poi ci voltiamo per invitarlo a entrare dentro i castelli che abbiamo costruito, proviamo a costringerlo a percorrere con noi le strade che abbiamo pensato autonomamente.

Può succedere anche nei nostri programmi pastorali, dove ci lanciamo avanti con le nostre convinzioni mondane, provando a inseguire la visibilità, il successo, il consenso e poi chiediamo a Dio di benedire quello che noi abbiamo ideato lasciandoci ispirare da logiche meramente umane.

Oggi il Vangelo ci invita a riprendere il posto che ci spetta, cioè a metterci dietro a Gesù: se vuoi imparare, devi camminare dietro al maestro, non davanti. Se ti metti dietro, puoi osservare dove il maestro mette i suoi piedi, così diventi familiare con il suo modo di camminare e lo segui anche quando intraprende vie improbabili.

 

Perdere o guadagnare?

Solo camminando dietro, senza fughe in avanti, possiamo vivere la dinamica che porta alla vita piena: rinnegare il proprio io, assumere la croce! O l’una o l’altra. Solo se rinunci al tuo io, al tuo modo di pensare, ai pregiudizi e alle ambizioni, puoi fare spazio alla croce, ovvero alla logica del Vangelo, al modo di pensare di Gesù. Bisogna seguire per vedere dove mi porta la croce nella situazione che ho davanti.

La logica del Vangelo, ovvero la croce, ha al centro un verbo fondamentale e che ordinariamente non ci piace: perdere! Fin da bambini siamo educati a vincere, a essere competitivi. Da grandi poi ci sforziamo in tutti i modi di guadagnare, inseguiamo illusioni, cerchiamo di divorare il mondo. Eppure è proprio così che il vuoto prende sempre più spazio nel nostro cuore. La vita infatti ha una sua logica nascosta, che preferiamo non vedere. La vita contiene la stessa logica del chicco di grano: va persa per poter fiorire! Solo la vita spesa per qualcuno o per qualcosa, diventa piena. Il chicco di grano soffre mentre marcisce e si rompe: è la sofferenza inevitabile per diventare pane. Forse occorre educarsi a vivere la vita così com’è, anche nella sua durezza e con le sue fatiche, forse può essere utile cominciare a rompere quelle campane di vetro sotto cui ci siamo rifugiati o dove abbiamo preteso di rinchiudere i nostri cari.

 

 

Leggersi dentro

  • Qual è il tuo rapporto con la sofferenza? La eviti o la affronti?
  • Quale spazio ha la logica del Vangelo nelle tue scelte?

12 commenti

  1. Mi immetto, cercando di attraversarla. Comunque, pensando, che, dopo, tornera’ rivedro’ il sereno. Per me il Vangelo e’ Parola di Dio che s’incarna nella nostra storia umana.

  2. A volte ci si stanca anche di “star male”. Forse occorre educarsi a vivere la vita nella speranza; forse solo cosi si puo’convivere con la sofferenza ,abbandonandosi, fiduciosi…

  3. La sofferenza nostra e dei nostri cari non può essere evitata, può solo essere affrontata. Difficile è la accettazione: si può solo pregare e chiedere al Signore la forza necessaria. Ora mi rendo conto che quella forza così grande, che mai avrei pensato di avere, era ed è la Sua che aiuta a portare pesi difficilmente sopportabili , donando, anche nel dolore più terribile, attimi di amore struggente, momenti di dolcezza e di gioia indimenticabili.
    Riflettendo, d’altro canto, sul rapporto che ho con la sofferenza degli “altri” non così vicini , devo ammettere che è diverso: spesso cerco di evitarla se non di ignorarla. Invece tutte le sofferenze hanno gli stessi bisogni e gli stessi diritti! E se il Signore mi aiuta tanto, una attenzione, una parola o una preghiera in più devo impegnarmi a darla!
    Grazie Padre Gaetano , come sempre aiuti a riflettere.

  4. Bisogna lavorare su se stessi e smettere di agire da salvatori (la cosiddetta sindrome della crocerossina,per cui si vuole salvare tutto e tutti,finendo per sostituirsi a Dio unico Salvatore). E solo lasciando agire Dio si vive una vita in pienezza, meravigliosa,ricca di gioia.
    La felicità che porta Dio non possa. La lussuria, i piaceri mondani, invece soffocano e lasciano nell’amarezza. Per la mia vita è meglio rinnegare me stessa,prendere la croce e seguire Gesù. Questa è vita. Questa è felicità.

  5. Questa domenica ho scoperto che “prendere la propria Croce” significa prendere la propria vita e modellarla alla sequela di Cristo. Nei banchetti fino al Calvario. Grazie per l’immagine della sfera di cristallo è molto indicativa.

  6. Le campane di vetro si rompono solo se si è sedotti. Senza le parole e l’esperienza di Geremia (Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso) tutto resta immutato. Senza la Sua seduzione il timore di Pietro ci porterà sempre ad agitare la campane e contemplare – che disastro il narcisismo, vero? – la neve che scende.

  7. Vivere significa di per sé affrontare la differenza. La risposta di Pietro è un evitamento e una logica di rifugio che noi dobbiamo imparare a non evitare. Immaginare una vita in difesa è sbagliato.
    Bisogna imparare a essere in Dio anche nel dolore. L’amore di Dio è incarnato, ma per ricongiungersi con lui deve disincarnarsi…annichilirsi… risorgere

  8. Vivere significa di per sé affrontare la sofferenza. La risposta di Pietro è un evitamento e una logica di rifugio che noi dobbiamo imparare a non evitare. Immaginare una vita in difesa è sbagliato.
    Bisogna imparare a essere in Dio anche nel dolore. L’amore di Dio è incarnato, ma per ricongiungersi con lui deve disincarnarsi…annichilirsi… risorgere

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