meditazioni

Voglio vincere! Ma a quale gara mi sono iscritto?

Meditazione per la

Ventinovesima domenica T.O. B

17 ottobre 2021

Is 53,10-11   Sal 32   Eb 4,14-16   Mc 10,35-45

«Per la superbia l’uomo diventa presuntuoso e, gonfiandosi vanamente della propria eccellenza, non riesce a camminare per la strada stretta né a entrare per la porta piccola»,

Sant’Agostino, Esposizione sul Salmo 112,1

Educati alla competizione

Fin da piccoli viene alimentata in noi una sete di potere, aneliamo tutti a diventare Re di Camelot o Principesse da salvare, prigioniere in una torre, o addormentate nel bosco in attesa del Principe azzurro. Apparentemente le fantasie infantili scompaiono, ma in realtà restano sepolte sotto la cenere e continuano a orientare segretamente le nostre scelte e i nostri sentimenti.

Per lo più, un certo modo di educare, improntato alla competizione, non ci aiuta, né tantomeno ci è di esempio lo scenario impietoso della politica e delle istituzioni: dal traffico ai colleghi di lavoro, dal gruppo parrocchiale alle beghe di partito, è tutta una corsa a prevaricare sull’altro per essere i primi.

Man mano che cresciamo, lo sguardo sugli altri diventa sempre più confuso: gli altri ci appaiono sempre più come avversari, rivali o concorrenti. A parte i casi estremi di delirio, in cui la vita si alimenta nel gusto di schiacciare la testa dell’altro, nei casi ordinari la vita viene vissuta come un’eterna gara che ci lascia nella frustrazione di non sentirci mai arrivati: la sete di potere è terribile, perché continua ad autoalimentarsi, lasciandoci sempre più assetati, nell’illusione che la prossima fonte possa dissetarci. Ma i pozzi del potere sono avvelenati, accendono la sete piuttosto che spegnerla, perciò l’unica soluzione è cercare altre fonti dove andare a bere!

La sete di potere

Anche i discepoli di Gesù, ieri come oggi, sono assetati di potere: davanti alle parole di Gesù che confida la sua angoscia davanti alle prospettive di morte che si fanno sempre più concrete, ancora una volta i discepoli progettano il loro futuro, preoccupandosi di chi dovrà sostituire il maestro quando non ci sarà più.

Ogni vuoto di potere, o la prospettiva di un vuoto di potere, genera una corsa alla sostituzione, è sempre l’occasione possibile per dare tregua alla propria sete.

Giacomo e Giovanni rivendicano un loro privilegio, forse perché sono stati i primi ad essere chiamati da Gesù, forse perché ostentano una possibile parentela con Gesù o forse solo per il loro carattere impetuoso, visto che non a caso erano chiamati “figli del tuono”.

Giacomo e Giovanni non si lasciano intimidire dalle condizioni evocate da Gesù, confidano sulle loro forze, sono assolutamente sicuri delle loro capacità («Gli risposero: “Lo possiamo”», Mc 10,39).

Il calice e il battesimo

Gesù evoca infatti due immagini dell’Antico Testamento molto provocatorie e per certi versi violente: il calice è non solo il calice della gloria, ma anche il calice dell’amarezza e dell’ira di Dio, è un’immagine che evoca vendetta e morte, non a caso è sul calice che Gesù pronuncia una delle benedizioni durante l’ultima cena, sostituendo il proprio sangue al sangue dell’agnello, offrendo se stesso come riscatto, cioè come prezzo, per la liberazione degli uomini tenuti schiavi dalla morte. Gesù è infatti il goel, ovvero, secondo l’Antico Testamento, colui che libera, salva, paga il riscatto.

Così anche il battesimo, cioè letteralmente immersione, non è solo il gesto del rinnovamento della vita, ma è l’immagine di chi è travolto dalle acque del male, proprio perché immerso liberamente in esse. Gesù è colui che si lascia immergere per essere travolto dalle acque del nostro male, quelle acque di morte dalle quali il Padre lo tirerà fuori, mostrandolo vincitore della morte.

Se la gloria di Cristo è la croce, allora diventa significativo che in quel momento alla destra e alla sinistra di Gesù non siederanno Giacomo e Giovanni, ma due peccatori, i due ladroni, due uomini condannati e giustiziati. Accanto a Gesù, nella sua gloria, siedono i condannati e gli esclusi di ogni tempo, quelli che non abbiamo ritenuto degni di accostarsi a Lui. Accanto a Gesù siedono perciò coloro che non hanno merito.

La vita come servizio

Alla logica del potere, Gesù contrappone dunque la vita come servizio, realizzando le profezie dell’Antico Testamento. Per questo, la liturgia ci presenta come prima lettura alcuni versetti del quarto Canto del Servo, che si trovano nel cap. 53 di Isaia. Il Servo è qui probabilmente Israele stesso, il popolo che deve percorrere un cammino di espiazione per riparare l’alleanza che si è rotta. E questo cammino può essere percorso solo facendosi servo, cioè entrando in una logica di obbedienza e di consegna alla Parola di Dio.

Capiamo bene, dunque, che questo cammino e questa azione di redenzione è stata realizzata pienamente in Cristo, che si è fatto servo dell’umanità per ricostruire la relazione con Dio. Ciò che salva dunque, ciò che dà senso alla vita, non è il potere, ma la disponibilità a servire.

Cristo è infatti, come ricorda la Lettera agli Ebrei, il Sommo sacerdote che offre se stesso come offerta di espiazione. Non salva con il potere, ma con l’offerta della vita. Gesù infatti non si è sottratto alla prova. Lo stile per governare, salvare, ricostruire è il servizio generoso e onesto, non il sotterfugio, la manipolazione, il compromesso.

Si tratta di un modo diverso di intendere anche la giustizia e il diritto, per usare l’espressione del Salmo 32. Proprio la giustizia e il diritto diventano invece spesso il luogo dell’abuso del potere, lo strumento per distruggere l’altro, il luogo del privilegio del potente. Giustizia e diritto, al contrario, dovrebbero essere il luogo privilegiato del servizio autentico.

Riprendendo l’immagine del calice che Giacomo e Giovanni vogliono bere, potremmo dire allora che siamo condannati alla follia dell’arsura fin quando continuiamo a bere ai pozzi avvelenati del potere. La vita, al contrario, trova senso solo quando è spesa per qualcuno o per qualcosa. La vita diventa ossessione quando si è concentrati solo sulla propria sete. Non a caso un uomo come Bonhoeffer, pastore protestante giustiziato dai nazisti, uno che aveva messo la vita della sua gente prima della sua, potrà dire: Solo chi vive per gli altri vive responsabilmente, ossia vive.

Leggersi dentro

  • La tua vita è improntata più a uno stile di servizio o alla ricerca del potere?
  • Ti senti anche tu in continua competizione con gli altri?

1 comment

  1. Che il cammino sinodale sia davvero essere un largo popolo in cammino verso il Signore. Che lo Spirito ci insegni a:
    Non prendere nulla prima degli altri
    Non mettere nessuno davanti agli altri
    A sentirci davvero ultimi, perché la porta dei cieli non si chiuderà mai davanti a chi ha saputo stare in fondo alla fila, perché nessuna pecorella andasse perduta. Buon cammino sinodale a tutti noi e buona preghiera sul cammino di Ignazio di Loyola

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