meditazioni

Ho perso il filo. Come resistere nell’epoca dei frammenti

Meditazione

per la Domenica di Pentecoste (anno B)

20 maggio 2018

At 2,1-11 Sal 103 Gal 5,16-25 Gv 15,26-27; 16,12-15 

«…a causa del peccato dell’umana discordia, quando ciascuno arrogò a se il primato»

Sant’Agostino

 

C’è quel momento in cui il filo si spezza e le perle si disperdono, saltellando, sul pavimento chiaro. Sembrano zampilli impazziti di una fontana rimasta aperta, bambini discoli che vanno a nascondersi nei posti più impensati. Provare a raccoglierle sembra impossibile, continuano a scivolare come se fossero palline dispettose.

perle sciolte

Già Bauman aveva paragonato il nostro tempo a quello delle perle sciolte, che mancano di un filo che le unisca e che dia senso. Per quanto possa sembrare una visione eccessivamente apocalittica, ho l’impressione che oggi il filo si sia proprio spezzato: il nostro tempo sembra proprio quello delle perline impazzite. E a volte non sono neppure perle autentiche! Non ci sono più fili capaci di tenere insieme le perle.

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Come a Babele, il sintomo della frammentazione è l’incapacità di comunicare. Babele vuol dire porta di Dio, ma a questa porta gli uomini vollero arrivarci da soli, costruendosi una strada autonoma. La confusione nasce dunque dalla superbia, quando ciascuno cerca il primato per sé. Le comunità si frammentano, i gruppi si sfasciano, la società si sgretolano nel momento in cui ciascuno vuole imporre la sua strada, credendola migliore di quella degli altri. E così smettiamo di ascoltarci. Ciascuno comincia a parlare la sua sola lingua. Diventiamo mondi chiusi nel proprio isolamento. Satelliti impazziti.

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La comunità cristiana nasce, invece, quando «si trovavano tutti insieme nello stesso luogo» (At 2,1). E ascoltano un’unica voce, che prende vita in ciascuno di loro in modi differenti, come lingue di fuoco. Quella parola originaria viene ritradotta nella vita di ciascuno.

Quella voce simile al tuono rievoca la voce di Dio che donò la legge sul Sinai. La Pentecoste era infatti anche la festa che celebrava il dono della Legge per Israele. La legge era per il popolo il luogo dell’identità e lo sarà ancor più quando si troveranno senza la terra. La frammentazione è il segno al contrario di un’identità smarrita, quando non sappiamo più chi siamo.

MOSE-SINAI

A Babele la superbia si cela dietro l’apparenza di bene, dietro cioè il tentativo di andare verso la porta di Dio. Ma dietro quell’opera buona si nasconde il tentativo di arrivare a Dio autonomamente, attraverso le proprie forze, escludendo Dio. Potremmo vedere in questo tentativo una prima espressione di quell’eresia che anche di recente il Papa è tornato a condannare nella Gaudete et exultate, ovvero una forma di pelagianesimo, quella superbia per cui l’uomo pensa di potercela fare da solo, con le sue sole forze.

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Anche la Chiesa corre il rischio di ridiventare Babele, quando cerca di mostrarsi come Chiesa dell’apparenza e delle grandi opere. La Chiesa diventa Babele quando, pur facendo grandi cose, si svuota di Dio.

La Chiesa della Pentecoste è invece la chiesa invisibile di comunione. Una Chiesa che sa farsi capire da tutti, che non esclude e non divide. Una Chiesa che ascolta la voce di Dio e non le proprie voci.

chiesa vuota

Questa tensione tra comunicazione e frammentazione la ritroviamo in tanti contesti, dalla politica alla società, nei gruppi e nelle comunità. La parola del Vangelo ci invita a ritrovare il filo per tenere insieme i pezzi. Occorre cominciare a valutare il modo in cui comunichiamo. Le nostre parole possono dividere o unire, possono essere violente o delicate.

La comunità cristiana nasce come comunione che vince la frammentazione. Un cristiano da solo non esiste, ma trova senso nella misura in cui appartiene a una comunità. La Pentecoste ci chiama ad abbandonare la nostra superbia, la presunzione di avere sempre l’ultima parola, per provare ad ascoltare le ragioni dell’altro.

 

Leggersi dentro

–          Ti stai isolando o stai cercando di costruire la comunione?

–          Cosa ti può aiutare in questo momento a superare le divisioni nei luoghi che frequenti?

6 commenti

  1. Mi aiuta il filo che mi tiene legata al Signore. Troppo volte scapperei dalla comunità ecclesiale..quante volte certe rigidità mi fanno sentire diversa! ma cerco di ascoltare la voce, di riannodare quel filo..
    Per esempio mi aiutano le esortazioni apostoliche di papa Francesco, le sue parole vere di comunione, tanto diverse da quelle che a volte circolano nelle comunità parrocchiali.

  2. Ultimamente, anche in campo laico, mi ritrovo con altri a riflettere ed a stare insieme centrando l’attenzione sul valore della coralita’ e della collettivita’, nella ricerca della riappropriazione di un’identita’ sociale, protettiva, umana ed educante, che ricollochi al centro il calore delle relazioni e delle emozioni, come collante della formazione del se’ altruista.

  3. La comunita’ e’ resiliente. Capace di riparare le ferite inferte dagli stessi che la compongono e, se vogliamo, e’ il senso del ritrovarsi in due, tre in presenza e col Signore.

  4. Anch’io mi sento aiutata da questo filo che mi tiene legata al Signore.
    ‘Lidia, mi ami tu?’
    La sua voce mi interpella sempre, allora la mia vita è un allenamento all’ascolto di questa voce che sussurra e attraversa la vita, mia e quella delle persone che incontro.
    Ma per udirla devo spogliarmi di quella schermatura dentro la quale mi rifugio abitualmente per non correre il rischio di espormi agli altri ed essere ferita.
    Gesù mi suggerisce la postura corretta, quella del crocifisso, con le braccia aperte, bersaglio pieno.
    Lascio che le mie prefigurazioni crollino, come un castello di carte, lascio andare tutto quello che so di me e credo di credere, per lasciarmi rifigurare dal Cristo che viene come consolatore adesso.
    Ecco quando nella bagarre degli eventi quotidiani riesco a fare questa operazione di memoria che lui c’è…perchè questa è l’unica certezza, sentire il cuore che arde nel petto!
    Allora sono disponibile ad ascoltare gli altri, senza pregiudizi, perchè noi cristiani non abbiamo risposte, abbiamo una domanda che è il Cristo crocifisso, il dono, assurdo dal punto di vista dell’intelligenza umana, che lui ci ha fatto amandoci ad oltranza fino a morire per noi.
    Sentirmi amata per accogliere gli altri nell’ascolto.
    Lui ha dato la sua vita per me e a me, come una madre che è felice per aver dato vita a una creatura nuova.
    Ascoltando e accogliendo il suo amore guarisco dall’esperienza di non amore, di rifiuto, di abbandono che mi porto dentro dall’infanzia e che spesso vivo.
    ‘Ascolta: ti voglio bene…e sono contento che tu esisti. Firmato Gesù

  5. Come è facile anche nelle comunità religiose, nell’odierno contesto frammentato, rompere il filo pensando che ‘certe cose’ sono dei vecchi tempi, e poi ci si ritrova palline saltellanti…

  6. Mettere Cristo, non noi stessi, al centro della nostra vita, questo, quindi, crea comunione. È Lui il filo che tiene le perle, dà forma, senso e bellezza alla collana della nostra vita. Imparare a riconoscere la Sua voce in mezzo alle tante voci da cui siamo sommersi, distinguendola soprattutto dalla nostra voce, è questo l’allenamento a cui siamo chiamati nella nostra quotidianità. Ma, se con il nostro operato, creiamo unità e non frammentazione siamo sulla buona strada?!
    Grazie!

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