meditazioni

Conosco i miei polli! Gli effetti collaterali del pregiudizio

Meditazione sul Vangelo

della XIV domenica del T.O. anno B

8 luglio 2018

Mc 6,1-6

 

Diventiamo sordi alla voce del testo,

quando non siamo consapevoli dei nostri pregiudizi.

Gadamer

 

Quando mia mamma avverte che sto cercando di nasconderle qualcosa o che sto cercando di prenderla bonariamente in giro, mi invita sempre coloritamente a ricordarmi che è lei che mi ha fatto! Mi conosce così bene che percepisce il mio stato d’animo dal tono della voce.

Purtroppo però chi ci conosce tende a volte a non lasciarsi più sorprendere da noi.

Le relazioni infatti possono diventare scontate.

Pregiudizio-e-stereotipo

Può accadere nella vita coniugale, quando ciascuno considera l’altro come prevedibile. Ogni gesto innovativo viene visto con sospetto, un mazzo di fiori improvviso viene riletto al più come il tentativo di farsi perdonare qualche misfatto.

Ma può accadere anche con i figli. Succede infatti che li etichettiamo e pretendiamo che per tutta la vita rispondano a quell’idea che ci siamo fatti di loro.

Avviene così anche nella vita religiosa: il padre maestro che ha conosciuto i suoi confratelli da novizi rischia molto spesso di continuare a vedere quei confratelli, diventati ormai adulti, come eterni novizi che non crescono mai.

come ci vedono

Chi ci ha conosciuti da piccoli, con i nostri capricci e i nostri goffi tentativi di crescere, fatica ad apprezzare quello che siamo stati capaci di costruire.

Lo sa bene chi si allontana dal proprio paese, dal proprio contesto, e poi vi torna dopo molto tempo. Accade spesso di non sentirsi più a casa, di non sentirsi riconosciuti nella novità della propria vita, come se non ci fosse data la possibilità di cambiare.

Mettere etichette è un principio di economia: ci permettere di non spendere energie per riformulare la nostra idea sugli altri e su Dio. Viaggiamo in un certo senso con il pilota automatico sulla strada delle relazioni.
etichette sugli altri

Mi sembra che Gesù, tornando in Galilea, viva un’esperienza simile: è visto come il figlio del falegname, i suoi legami sono conosciuti, la sua parentela è nota, come può dunque avere la pretesa di insegnare qualcosa di nuovo?

Potremmo pensare anche all’idea che noi ci costruiamo di Dio. Un’idea familiare a cui non vogliamo rinunciare. Dio diventa un Dio scontato. Ed è proprio per questo che non gli diamo più la possibilità di sorprenderci. Paradossalmente più siamo esperti di Dio più facciamo fatica a liberare Dio dai nostri schemi.

Ci aspettiamo che Dio sia dove lo abbiamo sempre trovato, ma a volte capita che ci accorgiamo che stiamo contemplando un contenitore vuoto. Nel frattempo Dio si sta rivelando altrove.

E così, come è capitato ai concittadini di Gesù, impediamo a Dio di operare nella nostra vita.

Pregiudizio

Per Gesù, questi primi versetti del Cap. 6 di Marco, inaugurano quella che gli studiosi chiamano la crisi galilaica: Gesù non si sente capito, percepisce che qualcosa non ha funzionato nella sua comunicazione, c’è stata un’interpretazione distorta o parziale del suo messaggio. Questo passo rappresenta perciò anche per noi un’opportunità per interrogarci, ovvero per chiederci: cos’è passato del messaggio che volevamo trasmettere? Vale per noi pastori, predicatori, educatori, ma vale in generale nella vita. Vale per chi è chiamato a chiedersi cosa è passato del proprio programma pastorale, ma vale anche per ogni uomo che può chiedersi: cosa è passato del messaggio che avrei voluto dare con la mia vita?

nonsono la vtua incomprensione

Gesù ha il coraggio di prendere atto del suo fallimento apostolico e di chiedere un riscontro, accetta il tempo della verifica. Noi, in genere, andiamo avanti tralasciando di metterci davanti alle nostre responsabilità. La storia va avanti e copriamo un fallimento con una nuova iniziativa.

 

Marco ci aiuta a riconoscere che il fallimento può intervenire nella vita. Il modo per affrontarlo però non è il silenzio, ma la ricerca dei motivi che lo hanno generato. Può capitare di non sentirci riconosciuti e capiti, ma quell’incomprensione non può rappresentare la fine del viaggio. Io non sono la tua incomprensione!

 

Leggersi dentro

  1. Come reagisci quando non ti senti compreso?
  2. Ti stai lasciando sorprendere da Dio o lo cerchi nelle solite cose?

8 commenti

  1. La prima reazione e’ quella di difesa e chiusura con allontanamento. Con un po’ di allenamento, negli anni, ho imparato a ricreare un ponte nel dialogo. La vita ci propone la fatica delle situazioni nuove e l’affidamento, a volte, non sempre, a Dio ed alla Madonna di fatti gravi incomprensibili a livello umano. La fede puo’ riaprire una finestra sulla speranza. Anche un musulmano praticante, di fronte alla morte per incidente del suo primo figlio mi ha chiesto di pregare per Lui. Un dolore immenso a cui la famiglia cerca la consolazione nella recita della sura del Corano per queste situazioni di estremo dolore. Ho sentito Dio Allah Padre di entrambi e mi sono sentita parte della comunita’ musulmana che era vicina, giorno e notte, a quell’evento.

  2. Mi sento anche di aggiungere che usiamo anche l’arma dell’estrema ragione per allontanarci da chi ci ha ferito. Questa e’ una tentazione che ci allontana dal nostro centro che e’ il cuore.

    1. Gentilissima Nicoletta,
      Non avevo assolutamente notato prima quella lettera all’inizio della tua risposta. Non sono di chiara ortodossia nè un bacchettone, ma ritengo ritengo fuori luogo se non offensiva l’utilizzo della scritta I.N.R.I. per altri scopi.
      Sempre con Affetto

  3. Quando non mi sento compresa, istintivamente mi ritiro nel silenzio; nel tempo anche io mi sto allenando a non chiudermi e a cercare I possibili ponti.
    I pensieri sanno costruire muri molto alti con mattoni ragionevoli, e quella che era un osservazione altrui del nostro agire, una parola sgarbata, o anche un ‘offesa
    possono diventare celle d’ isolamento
    per molto tempo!
    Ci vuole davvero una pazienza estrema nelle relazioni, senza la quale difficilmente é possibile uno sguardo e atteggiamento misericordioso.
    La preghiera sincera aiuta, soprattutto a riconoscere la nostra incapacitá, e chiederne il soccorso.
    Questo é qualcosa di ció che sperimento.
    Saluti. Brunella

  4. Purtroppo è difficile convivere con l’incomprensione altrui, se a non comprenderli sono genitori,fratelli, sorelle,ecc… Non pretendo di essere compresa dal mondo intero, ma almeno da mia sorella. Tuttavia,continuo a vive a sorridere alla vita. La vita è meravigliosa: dobbiamo impedire al fallimento e all’incomprensione di bloccarci e impedirci di incontrare questa meraviglia e trovare Dio in tutte le cose, in tutte le persone.

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