Meditazione sul Vangelo
della XXV domenica del T.O. anno B
23 settembre 2018
Mc 9,30-37
«Mi rendo conto, Lucilio, che non solo mi sto correggendo, ma mi sto anche trasformando»
Seneca
A volte basta un articolo per rovinarci la vita. Non si tratta dell’articolo di una rivista prestigiosa o di quello dell’ultima blogger rampante, ma di un articolo determinativo!
Avrei preferito essere educato a diventare migliore e invece gran parte della mia vita l’ho spesa per diventare il migliore. Cambia molto! Una cosa è crescere cercando di valorizzare al meglio le proprie risorse, un’altra è vedere in tutti gli altri degli avversari da battere. Viviamo in una cultura che fin da piccoli ci allena alla competizione e al confronto. Siamo continuamente valutati, ma non valorizzati. E così diventa inevitabile guardare l’altro con sospetto anche quando non ce n’è bisogno.
Anche i discepoli di Gesù entrano dentro questa spirale. La competizione diventa più urgente della compassione per l’amico: proprio quando Gesù sta confidando loro il presentimento di un futuro di dolore e di sconfitta, i discepoli cominciano a discutere tra loro per prevalere, affermando le proprie ragioni: il verbo usato da Marco è quello della disputa dialettica, il ragionamento serrato che avveniva nei tribunali o tra i filosofi per vincere sull’altro grazie all’arte retorica.
Se muore il capo, la partita si riapre. È la corsa cinica al successo, quella corsa insensata dentro la quale ci getta la logica del mondo. E piuttosto che pensare a migliorare noi stessi, siamo ossessionati dal diventare i migliori.
Questa logica della competizione non si accorda con la sofferenza: il nostro obiettivo è mettere la bandierina sulla preda vestiti da Superman. Gesù invece si presenta come uno sconfitto e un perdente, uno che cade e soffre, uno escluso e umiliato. Gesù è molto lontano dal protagonista del libro Cuore, quel libro che ha occupato gran parte dei miei incubi da bambino, perché mi veniva l’ansia pensando di dover essere tutta la vita come De Rossi, l’alunno che arriva sempre prima, ma che viene sconfitto proprio nell’ultimo esame.
Gesù invece è l’uomo che sprofonda: prima di salire a Gerusalemme, Gesù accetta di scendere nelle miserie umane, e se non fosse sceso lì non avrebbe mai incontrato tutti gli sprofondati della terra, gli umiliati e i perdenti.
Solo quando fai l’esperienza di sprofondare, incontri tanti altri caduti come te, ti accorgi che in fondo gli altri non sono degli avversari, ma delle persone ferite che ti somigliano.
Proprio quando i discepoli stanno discutendo su chi sia più grande, proprio quando il loro sguardo cerca un avversario da battere, Gesù mette davanti a loro, e in mezzo alla comunità, un bambino da accogliere.
Ecco il segreto per una vita di successo: rendersi conto che l’altro non è un avversario con cui essere in permanente competizione, ma uno fragile come me. Spesso le relazioni saltano perché paradossalmente siamo in competizione anche con le persone che amiamo. Ma ancora più spesso siamo lacerati dentro perché siamo in competizione con noi stessi, vorremmo sempre essere più di quello che siamo, piuttosto che vivere meglio quello che già siamo.
Se guardo meglio, nell’altro e in me non vedrò più un avversario da battere, ma un bambino di cui prendermi cura.
Leggersi dentro
– Quali sono le persone con cui vivi più spesso un rapporto di competizione?
– Quali sono gli aspetti di te che fai più fatica ad accettare?
Non amo cio’ che tenderebbe a dominarmi ed a non vedermi come persona al completo. Insomma, chi assume un atteggiamento predominante, per i suoi scopi. L’estrema determinazione dell’uso della ragione per”eliminare” il nemico.
Terminata la lettura del brano di Matteo e delle meditazioni mi elaboro una domanda, la ripenso, concludo con un “E’ pericolosa”, in quanto è multidirezionale. Oramai è pensata quindi va esposta: “Che percorso comportamentale per essere considerato dagli altri il più grande?”;
Alcuni grandi nel loro genere che ricordo nel momento: Saul (ho pregato nella chiesa a Lui dedicata a Tarso), Albert Schweitzer, Albert Sabin, Gandhi, ma anche il Tony del film Scarface diretto da Brian De Palma; molte persone hanno nelle loro pagine sociali come alter ego, come maestro di riferimento e da seguire questo Tony.
Qusti numero uno, escluso l’ultimo, sono diventati primi senza cercarlo ma costruendo nel tempo umano la base da precedenti basi solide.
Di questi numero uno viene mostrato il volto, e il loro messaggio ti avvolge come una coperta trasparente protettiva o come un medicinale che aumenta gli anticorpi. Di Tony le spalle colpite da proiettili sparate da uno che prenderà il suo posto.
In pausa il ricordo mi proietta il filmato della schiusa delle uova delle paperelle e a seguire l’esperimento dell’imprinting, ove i piccoli pennuti prendono come riferimento da seguire il primo soggetto in movimento. Il sospetto, che sia un richiamo alla reminiscenza del pensante?