meditazioni

Meditazione per il giovedì santo

Giovedì santo

6 aprile 2023

Imparare a mangiare

Sappiamo bene che alcune cose ci nutrono e altre invece ci avvelenano. L’amore, la pace, la bellezza ci nutrono; la gelosia, l’invidia, i conflitti, per esempio, ci avvelenano. A ben guardare, il cammino spirituale che la Bibbia ci propone potrebbe essere letto come un’educazione al mangiare: discernere per nutrirsi di quello che ci fa vivere. Il primo atto di Dio è mettere l’uomo in un giardino dove ci sono alberi di cui nutrirsi, ma ci sono anche dei limiti, c’è un albero di cui è bene non mangiare per non morire. E il cammino prosegue con tanti riferimenti al mangiare fino all’ultima cena di Gesù, dove riconosciamo che il suo Corpo e il suo Sangue nutre, riempie e salva in maniera piena e definitiva la nostra vita.

Occorre però imparare a mangiare, perché il modo in cui mangiamo dice molto di noi: mangiare è mettersi in relazione con il mondo. Vuol dire nutrirsi della realtà. Alcuni infatti mangiano in maniera vorace, vogliono impadronirsi di tutto, non guardano in faccia a nessuno. C’è chi, come le mamme per esempio, si preoccupano ogni giorni di quello che gli altri devono mangiare. Ci sono anche quelli che rifiutano di mangiare come difesa da un mondo che spaventa.

Forse proprio per questo significato così profondo e antico, il mangiare è diventato il luogo della memoria e dell’incontro con Dio.

Fare memoria

Per capire meglio il senso dell’Eucaristia, può essere utile ripartire dal senso della pasqua ebraica, memoriale di quell’ultima cena che Israele consuma in Egitto, dove era schiavo, prima di attraversare il mar Rosso. Il passaggio del mare segna per Israele un momento della sua storia che diventa un evento fondatore della sua identità: coloro che attraversano il mare entrano nell’alleanza con il Dio che salva. Iniziano il cammino verso la terra promessa. Ma tutti coloro che non hanno attraversato il mare, le generazioni successive, come potranno entrare nell’alleanza con Dio?

Prima del passaggio del mare, gli israeliti sono invitati da Dio a consumare una cena, a mangiare l’agnello, a segnare con il suo sangue gli stipiti delle loro case, come segno di appartenenza a Dio per essere risparmiati dalla morte. Quella cena è un segno profetico della liberazione che sta per avvenire. E ogni volta che la ripeteranno, facendone un rito, sarà come se si tornasse ad attraversare il mare, entrando nuovamente nell’alleanza con Dio.

La cena e la croce

Prima di salire sulla croce, che è l’evento della nostra liberazione, mediante il quale Dio ci libera dalla morte eterna, mediante il sacrificio nel sangue di Cristo agnello immolato, Gesù consuma con i discepoli un’ultima cena. Quella cena è un segno profetico di quello che Gesù sta per fare sulla croce. In quella cena la sua vita è già consegnata una volta per sempre. Ogni volta che noi celebriamo quella cena, cioè l’Eucaristia, sarà come tornare al Golgota: riviviamo l’esperienza della nostra salvezza, che, a differenza dell’agnello che Israele avrebbe dovuto tornare a uccidere ogni anno, si è compiuta una volta per sempre per mezzo della morte di Cristo.

I gesti dell’amore

Ma perché Cristo avrebbe dovuto fare tutto questo per noi, per sempre, per ogni uomo?

La risposta può essere solo l’amore! Per questo, forse, il Vangelo di Giovanni sostituisce le parole del racconto della cena con la narrazione di un gesto: Gesù lava i piedi ai discepoli. L’amore infatti come dice sant’Ignazio di Loyola è da porre più nei fatti che nelle parole. È il gesto del servo che si abbassa davanti al padrone. È un gesto però che permette anche di toccare l’umanità dell’altro, consente di vedere la sua stanchezza e le sue ferite.

Gesù ci chiede di fare altrettanto. Le relazioni guariscono e funzionano quando abbiamo la capacità di abbassarci davanti all’altro, umiliandoci anche quando non abbiamo colpa, quando siamo capaci di guardare la stanchezza e la fatica dell’altro, che spesso è nascosta sotto i suoi piedi e forse dal volto non traspare.

Ma sappiamo bene che è difficile anche lasciarsi lavare i piedi, perché spesso siamo presi dallo stesso complesso di Pietro. Pietro si nasconde dietro una falsa umiltà. In realtà non vuole farsi lavare i piedi per non essere in debito (cosa mi chiederà poi in cambio?), non vuole farsi lavare i piedi forse anche perché non vuole che si vedano le sue ferite, ma soprattutto non riesce ad accettare l’immagine di un Dio che si fa servo, non vuole vedere un Dio debole e umiliato. Forse in questi giorni ci viene chiesto di metterci proprio davanti a questa immagine di Dio, perché è evidente che Dio ci salva attraverso la debolezza e l’umiliazione.

Leggersi dentro

  • Cosa mi sta nutrendo in questo tempo della mia vita?
  • Sono disposto a lavare e a farmi lavare i piedi?

3 commenti

  1. Le intenzioni ci sono tutte ma poi rimango fermo nella mia confort zone. Riesco ad assaggiare solamente, non credo di nutrirmi fino a saziarmi del cibo buono. Rimango sempre sulla soglia con una gamba dentro e l’altra fuori.

  2. Ho abbassato il capo e ho chiesto perdono e, nello stesso tempo, la capacita’ di perdonare chi mi fa del male.
    Si sono disposta al servizio all’altro. Grazie.

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