Meditazione sul Vangelo
della V domenica di Pasqua (anno C)
24 aprile 2016
Gv 13,31-35
C’è un bisogno molto antico dentro di noi, è il bisogno di essere amati.
Un bisogno che si traduce nel desiderio di essere cercati e riconosciuti. Un bisogno antico che rimane impresso nella nostra memoria affettiva. Da grandi, incontriamo situazioni che ci feriscono più del necessario, che ci pesano in maniera sproporzionata, semplicemente perché ci rimandano a quei ricordi lontani, quando ci siamo sentiti inermi nel nostro senso di solitudine e di impotenza.
Diventare adulti significa ascoltare una parola nuova, per non lasciare che quel bisogno iniziale diventi il monologo predominante, e sempre più inquietante, che abita il teatro della nostra coscienza.
Accanto al desiderio di essere cercati, occorre ascoltare la voce del desiderio che ci spinge a cercare. Diventare adulti significa diventare responsabili dell’amore, prendersi cura del bisogno di essere riconosciuto che incontro nel volto di ogni altra persona.
Possiamo rimanere tutta una vita nell’angolo a chiederci chi è il nostro prossimo: chi mi è vicino? Chi mi vuole bene? Come un bambino, stretto in un angolo, completamente chiuso nel suo legittimo bisogno di essere voluto bene, senza però saper dare una forma adeguata a quel bisogno. Oppure possiamo uscire dall’angolo per diventare prossimo di qualcun altro, per farci vicino, come un adulto che si fa carico dell’inevitabile bisogno di ciascuno di essere riconosciuto.
La trappola della buona educazione ci impone di rispondere con cortesia e in modo adeguato alle manifestazioni di attenzione che riceviamo. Abbiamo costruito tutta la nostra cultura occidentale sul mito della reciprocità: se qualcuno ci fa un regalo, mentre scartiamo il pacco, stiamo già pensando a come rimettere le cose in equilibrio, come sdebitarci. E se ci mettiamo a disposizione di qualcuno, ci aspettiamo, senza dirlo, che alla prima occasione l’altro si possa sdebitare.
Perché dunque questo invito ad amarci gli uni gli altri sarebbe un comandamento nuovo?
Nell’antica Grecia, quando Socrate voleva donare generosamente la sua sapienza, non solo faceva finta di non sapere, ma si sceglieva attentamente il fortunato destinatario della sua parola. Socrate non donava indiscriminatamente le sue parole. Consegnava le sue idee a chi in qualche modo avrebbe potuto valorizzarle.
Socrate ha segnato la nostra vita e noi continuiamo a scegliere oculatamente i nostri interlocutori perché ci aspettiamo sempre una ricompensa.
Al contrario, il Seminatore di cui parla Gesù non analizza il terreno prima di gettare il seme, non ha pregiudizi sul terreno, non semina in base alla speranza di ottenerne un ritorno: il Seminatore spreca il seme su ogni terreno, anche su quello che non è pronto.
La nostra cultura è molto più socratica che cristiana. Siamo commercianti dell’amore. Giriamo sempre con la partita doppia sotto il braccio: pretendiamo che i conti dell’amore ci tornino. Investiamo per poter guadagnare o, al più, per chiudere in pareggio. Si ama invece solo quando si ha il coraggio di chiudere in rosso il proprio bilancio.
Il pericolo dell’amore è l’ossessione della reciprocità. Per questo Gesù non dice solo “amatevi gli uni gli altri”, ma per fortuna (o purtroppo) aggiunge “come io ho amato voi”. Se non ci fosse questo come, continueremmo a misurarci l’un l’altro nell’amore, continueremmo a essere criterio l’uno per l’altro. L’amore diventerebbe, e spesso lo diventa, sdebitarci l’uno con l’altro, superare il senso di colpa, mettersi a posto la coscienza.
Cristo invece ci ha amato sprecando la vita, come un vasetto che si spacca e l’olio profumato che si disperde senza poter essere più recuperato. Cristo è il Seminatore che dona la parola perché si fida di ogni terreno, perché considera ogni terreno degno della sua attenzione. Cristo è l’amico che offre la vita anche per Giuda che è appena uscito per tradirlo.
È in questo amore in perdita che il Padre viene riconosciuto, è nell’amore come sconfitta che Dio rivela il suo volto, è nell’amore come spreco che si diventa discepoli.
Altrimenti saremmo solo buoni cittadini, abitanti della polis, discepoli di Socrate, l’uomo dell’equilibrio più che dell’amore.
Leggersi dentro
– Sei ancora nell’angolo a chiederti chi ti vuole bene?
– Sei anche tu uno che cammino con la partita doppia sotto al braccio?
Un nuovo ed unico comandamento che facendoci uscire da ogni egocentrismo ci invita al dono di se stessi ,delle proprie risorse e se necessario fino al martirio perché solo il dono gratuito è amore e gioia vera . Così Lui ci ha amati e ci ha redenti.
Grazie a padre Gaetano per questa bellissima omelia.
E un grazie particolare a Rosa lachininoto per la sua lodevole capacità di sintesi.
GRAZIE
AMARE significa donare,amare significa darsi ma senza pensare di ricevere sempre,a volte si riceve a volte no,è cosi nell’amore,cosi nell’amicizia così nel lavoro….sono tutte cose che richiedono amore quell’amore che deve prescindere dalla reciprocità,dal lucro ,dal piacere che taluno può farti o meno per poter ottenere un tuo scopo!dovremmo tutti impegnarci a dare il meglio di noi sempre e con amore,amore per ogni cosa che facciamo per il prossimo!impegnativo certo,difficile e spesso apparentemente impossibile…..ma quando si riesce,ma quando allontaniamo secondi fini e ci doniamo al nostro prossimo il ritorno c’è sempre! è la consapevolezza di non aver vissuto solo per noi stessi ,egoisticamente,ma di aver gettato quei semi su tanti terreni che ,anche se non in toto, certamente daranno dei frutti ,così riusciremo a non esser più soli anche quando il silenzio più profondo potrebbe farci paura. Paolo
Liberi veramente nell’amore, FORSE, lo siamo con i nostri affetti filiali e coniugali, e non sempre. È dura non fare il bilancio quando non si vede corrispondenza. Poche sono le volte in cui si guarda avanti con un respiro aperto. Grazie e ciao.
Gratis…una parola dimenticata in un mondo in cui tutto ha un prezzo!
E invece l’amore vero è’ dono, che non chiede nulla in cambio e non pretende altra ricompensa se non la gioia… Difficile mettere in pratica tutto questo, ma qualche volta mi accade.,,
Penso che il desiderio di essere amati e cercati è una sbagliata interpretazione di quel desiderio che abita la nostra profondità, dal momento in cui siamo creati a immagine di quel Dio che è AMORE. Cioè il nostro desiderio vero è “vivere nell’amore” e questo desiderio da piccoli lo percepiamo come desiderio e voglia di essere amati e circondati di attenzione … e purtroppo spesso manca l’educazione che ci aiuta a capovolgere questa inevitabile trappola e a uscirne fuori.
Il salto verso l’uomo vero, verso la felicità vera, avviene quando comprendiamo con il cuore (il cuore nella bibbia è il luogo dell’intelligenza, della decisione e del coraggio) che il vivere nell’amore non significa essere amati, ma significa AMARE.
Fare questo salto è un momento di grande liberazione, che può avvenire per un incontro con un testimone di cui vita è spesa per amore … e li capisci cosa significa che il dare dà più gioia che il ricevere … questo salto è possibile quando ci si incontrano bravi educatori simili a Gesù di Nazaret che un giorno incontrando il giovane scriba lo aiuta a capovolgere la sua logica dal definire il prossimo a partire da se stesso “chi è il mio prossimo” a “come mi faccio prossimo” e cioè al mettersi in gioco per soddisfare i bisogni profondi degli altri… Amare come Gesù è essere come lui buoni samaritani … Che Dio ci aiuti a essere compassionevoli come lui.
in bilico su di una fune o cammino rischiando di cadere o mi fermo allargando le braccia per mantenere l’equilibrio (da Babel Z.Bauman e E.Mauro)
Dobbiamo entrare nel Regno di Dio attraverso molte tribolazioni.
L’ingresso nel Regno di Dio non è una passeggiata è un percorso aspro.
( UN ABBRACCIO )
Prendere la propria croce e seguirLo nella sofferenza richiede fiducia ed abbandono totale . E la forza è solo Suo dono.