meditazioni

Imparare a dirsi addio. Cosa rimane alla fine di un legame

Meditazione sul Vangelo della VI domenica di Pasqua (anno C)

1 maggio 2016

Gv 14,23-29

 

Malattia, pazzia e morte sono stati gli angeli

che hanno vegliato sulla mia culla

e che fin d’allora, mi hanno accompagnato.

E. Munch

 

Lungo la nostra vita siamo chiamati a vivere tanti distacchi, alcuni voluti, altri casuali, altri ancora subiti. Nasciamo proprio grazie al distacco più importante e forse anche più traumatico: il distacco dal grembo della nostra mamma. Chissà, forse questo distacco resta così impresso nella nostra memoria che ogni volta che la vita ci chiama a separarci da qualcuno o da qualcosa sentiamo di nuovo il dolore di quel primo istante.

E così continuiamo a separarci, salutiamo la nostra infanzia, cominciamo a staccarci pian piano dalla nostra famiglia. A volte il tempo ci chiede di separarci dalle persone care e a volte ci separiamo dalla persona con cui abbiamo condiviso una vita. Fino a quando giungeremo poi all’ultimo distacco, in cui ci verrà chiesto di salutare questo mondo.

 

Non è facile dirsi addio e forse proprio per questo, nel Vangelo di Giovanni, Gesù fa un lungo discorso per preparare i suoi discepoli a questo momento di distacco. Per quanto sia comunque sempre doloroso, il modo in cui viviamo il distacco dipende dal modo in cui abbiamo vissuto quella relazione. Con atteggiamento materno, Gesù chiede ai suoi discepoli di sapere attendere e di vivere con pazienza il tempo della sua assenza.

Questa assenza di Gesù, il suo silenzio e la sua sconfitta, diventano emblematici di tutti quei momenti della nostra vita in cui facciamo fatica a trovare Dio, tutti i momenti in cui Dio ci sembra distante, in silenzio, introvabile.

La vita ci chiede a volte di attraversare momenti di dolore o di sofferenza, momenti di aridità e desolazione, in cui Dio ci sembra assente.

Munch solo

Forse proprio per questo motivo, nel Vangelo di Giovanni Gesù pronuncia un lungo discorso per salutare i suoi amici e prepararli a questo tempo di separazione. Nel cuore di chi si sente abbandonato, rimane un vuoto profondo. Così anche noi discepoli, quando Dio sembra lontano, ci portiamo nel cuore un vuoto che sembra incolmabile.

Gesù chiede ai suoi discepoli di non perdere la memoria della relazione, ma di lasciarsi aiutare a ricordare: un altro sarà chiamato per difendere i discepoli nella lotta della vita che tenterà di cancellare il ricordo di quella relazione. Il Paraclito è l’avvocato chiamato a difendere nel processo, colui che si mette in mezzo e prende le parti di un altro nella lotta contro l’Avversario. Sì, una delle tentazione più grandi è dimenticare. Forse per questo Israele continua a ripetere e a ripetersi: Ascolta, Israele, non perdere la memoria del cammino che hai fatto insieme al tuo Dio.

 

Perdere la memoria di una relazione è l’attentato più frequente compiuto contro il nostro cuore: siamo così concentrati sul dolore presente, sulla delusione del momento, sulla sbavatura all’idea di perfezione che avevamo della nostra relazione, che facilmente cancelliamo il ricordo della bellezza di una storia che ci ha accompagnati e ci ha fatto camminare insieme.

Insegnare e ricordare nelle parole di Gesù diventano sinonimi: colui che viene in nostro aiuto, lo Spirito di Dio, ci aiuta a dare un senso a quello che abbiamo vissuto. Nel tempo faticoso dell’assenza di Gesù, bisognerà fermarsi e sforzarsi di ricordare quello che Gesù ci ha insegnato.

 

Chi vive l’esperienza di sentirsi abbandonato si porta dentro un vuoto profondo. Gesù ne è consapevole e non banalizza questo sentimento. Il mondo promette cose che non può mantenere: la pace, nel linguaggio biblico, è la promessa di una pienezza di vita che il mondo non può assicurare. Il dono della pace è la possibilità di sperare nella certezza di non essere delusi. Solo chi si è sentito amato veramente può essere certo del ritorno della persona amata anche nel tempo della separazione. Chi ha fatto l’esperienza di sentirsi amato non si porta nel cuore il turbamento, ma la pienezza. Nell’amore vero non c’è posto per la paura.

 

In tutto il suo discorso, Gesù non è mai da solo, non si presenta mai come unico, ma è sempre in relazione con il Padre. Nelle sue parole, Gesù non si mette mai al centro dell’attenzione: al centro c’è la vita degli altri, la vita delle persone amate, o l’amore che lo unisce al Padre. L’amore di Gesù non è mai ripiegamento, ma sempre donazione a qualcuno. Gesù non si percepisce mai come assoluto (cioè sciolto da legami), ma sempre in relazione con altri. A volte invece il nostro cuore è triste perché è abitato solo dal nostro io.

 

Leggersi dentro

–          Come vivo i momenti di separazione, distacco, abbandono?

–          Riesco a fare memoria della mia relazione con Gesù?

10 commenti

  1. Elaborare la relazione ,crescere in essa in un rapporto coinvolgente e dinamico , consapevoli che tutto si trasforma e che quanto è vissuto nell’Amore non potrà mai perire . Allora sarà pienezza e gioia vera .

  2. ….ci guadagno il colore del grano(dal piccolo principe di Saint-Exupéry)
    Di Antoine de Saint-Exupéry è molto bella anche l’arte dei piccoli passi
    e di Nikiforos Vrettakos questa poesia:
    Quando un giorno me ne andrò da questa luce,
    vorticherò verso l’alto come
    un ruscello mormorante.
    E se per caso da qualche parte
    tra i corridoi azzurri
    incontrerò gli angeli,
    parlerò loro in greco, poichè
    non sanno le lingue. Parlano
    tra loro in musica.
    Belle anche l’auriga e filosofia dei fiori

  3. Una persona nell’ultimo mese mi ha chiesto: “Ma Gesu’ e’ il Signore della tua vita?”. Pensavo che man mano che crescevo, ci sono state tante persone incontrate e inevitabilmente tanti distacchi. Se penso ai distacchi , li ricordo con tristezza perché ognuno di quegli incontri mi ha segnato ma alla fine ognuno di quei legami aveva un comun denominatore, ed era proprio Gesù. Si Lui è proprio il Signore della mia vita.

  4. Mi colpisce la frase “il modo con cui viviamo il distacco dipende da come abbiamo vissuto quella relazione”.
    La fine ci dice sempre qualcosa dell’inizio e del durante. Ricordo la mia stimatissima professoressa di greco del liceo che una volta, durante la correzione di una versione, ci disse :” se non capite le frasi iniziali, andate avanti, non vi bloccate, perché spesso l’inizio si capisce dalla fine”.
    Percepii subito l’importanza di quelle parole, la verità grande che contenevano e vedo che tornano sempre fuori nel corso degli eventi interiori. Il centurione che vede Cristo morire fa esperienza diretra di questo. Chissà cosa sapeva di Gesù e che cosa aveva visto con i suoi occhi, ma di certo lo “spettacolo” della Crocifissione e le parole che avrà ascoltato in quelle quattro ore sono state la chiave di tutto un contenuto prima d’ora oscuro. Comprendo da tutto ciò quanto sia fondamentale lo stare fino in fondo in un evento, dall’inizio alla fine, altrimenti il compimento che porta in sé è irriconoscibile.

  5. P. Gaetano, la mia esperienza è che il distacco (per morte) è umanamente lacerante..c’è un vuoto dentro, ci si sente come un palloncino sgonfiato, c’è nostalgia, c’è il desiderio di un corpo che non c’è più…poi,lentamente, ricomincia la vita là da dove sembrava essersi fermata insieme alla persona che non c’è più. Il Signore penso che riempia di altre cose buone e belle quel vuoto nel cuore.
    Oggi si, riesco a vedere ciò che Gesù fà per me e con me anche nei momenti del suo apparente silenzio/desolazione.. ma quando per anni sono stata immersa nella malattia di mamma, no, p.Gaetano, proprio no… esisteva solo l’isolamento dal resto del mondo, il non poter dormire nè notte nè giorno, l’impotenza, i sintomi devastanti della malattia ecc. ecc. La mia esperienza è stata che quando il mio corpo è messo duramente alla prova, l’emotività è tutta protesa verso la persona cara, la ragione..sembra lasciare il posto alla follia e questo per anni, no, non riuscivo a fare memoria di nulla. Poi dopo, ho riletto il diario tenuto in quegli anni e ho visto quanto il Signore ha comunque fatto per me, per mantenermi a galla.

  6. Cara Anna,
    Condivido pienamente il tuo dolore, anch’io ho vissuto, qualche anno fa una
    simile esperienza. Il modo in cui viviamo il distacco non dipende solo da come
    abbiamo vissuto quella relazione, ma deve essere visto anche in un contesto
    familiare, ed essere accompagnati in questo dolore. Purtroppo da solo, anche un gigante è debole.
    E’ nelle difficoltà che comprendi chi veramente ti vuole bene, chi ti sta vicino nel momento del bisogno, come il Cireneo che ha aiutato il Cristo a portare la croce.
    Non potrò mai dimenticare quell’incontro con una figura di primo piano della Diocesi di Napoli quando si soffermò sul dialogo tra Cristo e Pietro sull’amore,
    quando alla terza domanda Cristo chiese a Pietro se lo amava come un amico o
    come un fratello. Certo lo interrogava sulla qualità e sulla quantità d’amore che era capace di esprimere.
    Credo che la Chiesa in quanto istituzione non è nata per amare, ma per insegnare ad amare.
    Credo che questo sia uno dei principi fondanti del Cristianesimo.
    Non ti nascondo che ho difficoltà ad amare i “professionisti”del cristianesimo.
    Spero solo che non vi siano tra costoro quelli che non ti hanno accompagnato !

    Come sempre un forte ABBRACCIO

  7. Grazie Vincenzo della tua vicinanza, grazie davvero.
    Sai, non considero la Chiesa come un’istituzione ma come un’insieme di persone tutte diverse che possono cadere, sbagliare, deludere ecc così come può capitare tra la cerchia di parenti o amici. Nel mio caso specifico si, mi sento un pò triste e delusa per un “accompagnatore” (come dici tu) che è venuto meno proprio in quel tempo.. però il Signore lo ha reso tramite per farmi arrivare qui. Quindi va bene anche così.
    Vincenzo anche io resto colpita ogni volta da come Gesù “scende” alla mia (nostra) portata modificando la domanda sull’amore, fino a raggiungere Pietro.
    La mia esperienza (umana, spirituale, lavorativa ecc.) è che non si può insegnare quello che non si vive, quello che non si è .. prima o poi si viene smascherati da chi ha il cuore limpido. Ecco è come la misericordia .. non puoi guardare una persona con amore tenero, misericordioso, se prima non lo hai vissuto tu con Dio ..magari in una confessione in cui ti vergognavi, non volevi essere guardato dal sacerdote e invece, alzando lo sguardo hai visto negli occhi del confessore lo sguardo del Padre che ti accoglieva.. Boh.. chissà se ho spiegato bene. Ciao, alla prossima.

    1. Grazie a te, per queste parole !
      Non è corretto utilizzare questi spazi per rispondere ai commenti indirizzati a padre Gaetano. Se mi sarà consentito, in alcuni casi, indicherò la mia e-mail.

      Con la fede in Cristo Risorto

  8. “Solo chi si è sentito amato veramente può essere certo del ritorno della persona amata anche nel tempo della separazione. Chi ha fatto l’esperienza di sentirsi amato non si porta nel cuore il turbamento, ma la pienezza”. Belle parole. E per le persone che non sono state amate? Non che non si sono sentite, ma proprio non lo sono state… e purtroppo ce ne sono.

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