Meditazione sul Vangelo
della XV domenica del T.O. anno A
16 luglio 2017
Mt 13,1-23
Poiché la funzione del discorso è in certo modo quella di guidare l’anima, chi intenda diventare oratore bisogna che conosca quante specie di anime ci sono.
Socrate nel Fedro di Platone
Ogni giorno gettiamo davanti agli altri le nostre parole. E noi stessi ci ritroviamo continuamente storditi dalle parole che il mondo ci riversa addosso. Consegnare una parola, a volte inutile, a volte romantica, altre volte violenta, è l’azione che accompagna le nostre giornate.
Gettiamo davanti agli altri le nostre parole affinché qualcuno le raccolga, le completi, le comprenda o, semplicemente, le ascolti. Continuamente ci raccontiamo, diciamo qualcosa di noi. Ci esponiamo anche, perché può accadere che nessuno abbia voglia di aprire il libro della nostra vita.
Raccontiamo parabole. Parabola viene infatti dal verbo greco para-ballein, gettare avanti. Noi siamo una parabola, siamo un’esistenza gettata davanti agli altri, un desiderio di essere raccolti e ascoltati.
Parliamo ovvero ci consegniamo, ci gettiamo davanti agli altri, in modi molto diversi: alcuni restano in silenzio, cioè non si consegnano mai; altri parlano per frasi fatte, usano etichette e slogan, usano parole scontate, sono quelli che non si consegnano, ma si impongono, parlano in modo violento; ci sono anche quelli che scelgono con cura le parole, cercano di accontentare gli altri, scelgono le parole che piacciano all’interlocutore, sono quelli che amano il gioco della manipolazione, manipolano e si lasciano manipolare; ci sono quelli che non ascoltano mai, che vivono in un fiume di parole senza argini che sommerge l’interlocutore.
Il nostro modo di parlare esprime sempre un atteggiamento davanti alla vita. Forse per questo anche Gesù racconta come Dio parla ovvero come Dio si consegna all’umanità. Nel seme della parola, Gesù racconta la vita che si dona, l’esistenza che desidera portare frutto. Dio parla a ogni terreno, si consegna in ogni situazione.
Quando ero bambino, ricordo bene che, arrivati a questo punto del Vangelo, la suora ci chiedeva sempre: «e tu, che terreno sei?». Ho trovato sempre inquietante questa domanda. Mi sono sentito giudicato e mi sono sempre trovato inadeguato. Col tempo però ho deciso di leggere diversamente questa parabola. Non credo che quella sia la domanda giusta.
A me sembra che la parola di Gesù sia più consolante e ci dica che qualunque terreno io sia, Dio continua a gettare in me la sua parola. Qualunque tipo di terreno io sia, il Signore continua a consegnarsi nella mia vita. Dio si gioca con me, rischia. Sta in bilico tra la follia e la fiducia, in un modo tale che per me rimane incomprensibile.
Capisco così quell’incontro meraviglioso che nella liturgia eucaristica avviene tra la parola e il pane, come a Emmaus: una parola consegnata e un pane spezzato. La parola e il pane diventano l’una specchio dell’altro.
A differenza di Socrate, Gesù non seleziona l’interlocutore, non analizza l’altro per verificare che sia degno e adatto a ricevere il suo insegnamento. Socrate si rifiuta di scrivere per evitare che la sua parola sia rivolta a chi non la potrebbe comprendere, Gesù getta il seme della parola in ogni terreno, si fida di me a prescindere. A questo punto non so quanto il nostro modo di parlare e di consegnarci sia evangelico o se in fondo non sia proprio Socrate a continuare a vivere in noi.
Anch’io ti consegno questa parola, te la getto davanti. Inevitabilmente mi consegno un po’, mi espongo anche al rischio dell’incomprensione. Certo, è un modo di vivere.
Leggersi dentro
– Come descriveresti il tuo modo di comunicare?
– Cosa provi davanti al gesto di Gesù che getta il seme in qualunque tipo di terreno?
Il mio modo di comunicare e’ leale ed aperto. Istantaneo e pensato. A volte, il destinatario interpreta e distorce e reagisce ferendo perche’, non immaginando, vai a toccare delle corde vive che portano con se’ la modalita’ di “rubare” i rapporti con gli altri, per dominarli e controllarli, in una sorta di rivalsa sull’altro. Mentre il Signore “offre” non costringe o lega a se’ per sottomettere l’altro. Quando dobbiamo lavorare per rieducare al rispetto ed alla pace.
“Parliamo ovvero ci consegniamo”. Vero! Quando comunico con gli altri offro me stessa, completamente. Sono trasparente, reale e sincera. Per questo motivo a volte nelle relazioni sono stata penalizzata. Ma non per questo ho assunto modalità comunicative doppie e ambigue, che vedo appartenere a molti nella società odierna.
il tempo vissuto della relazione… la vera sfida non è tanto costituita dalla diversità del tempo: il mio tempo, il tuo tempo, la vera sfida è costituita dal fatto che dobbiamo incontrarci. Quanto dura un abbraccio? è un problema serio, perché se io ho fretta di finire e l’altra persona ci resta male vuol dire che qualcosa non funziona, in fondo molte delle difficoltà relazionali dipendono proprio dal fatto che abbiamo tempi diversi. Se abitiamo il nostro corpo, se abitiamo le relazioni allora il tempo trova la sua dimensione. La più grande domanda non è : come si fa ad essere felici sapendo che il tempo finisce? Ma : come si può essere nel tempo ed essere felici? (Giovanni Salonia)
P.S. quando ero piccola all’uscita del catechismo al Collegio di Maria non trovai nessuno a prendermi, camminai verso casa (per la prima volta da sola) pregando e giunsi sana e salva
L’ha ribloggato su GET UP and WALK.
“Siamo un desiderio di essere RACCOLTI e ASCOLTATI! ”
Questo…l’ anelito piú profondo del cuore di ogni Creatura, questa la Vocazione e MISSIONE di ogni discepolo,Amico di Gesú…la mia!!!!!
Gesú,donaci di non lasciar cadere nessuna Parola e di saper vedere e sentire nelle pparole di chi incontriamo la Tua Chiamata a AMARE e A Salvare.
Io parlo tanto……me lo hanno sempre rimproverato, a scuola da ragazza e ora da insegnante; tra gli amici, tra i parenti, in famiglia! Con franchezza, troppo spesso, anzi sempre, senza tenere conto del mio interlocutore! Quanti problemi………… parlare mi ha sovente attirato antipatie e inimicizia, tanto da farmi intimorire dal farlo….. eppure continuò a gettare le mie parole!
Sul mio terreno mi interrogo spesso e….ahimè lo trovo pieno di rovi, quand’anche non roccioso…. che fatica fare quello che mi sono ripromessa, imitare Dio, meglio, ubbidire ai Suoi insegnamenti!
Alcuni anni fa, insieme ad alcuni volontari mi recai in visita in un luogo di sofferenza e di dolore per giovani disadattati in parte abbandonati dai loro familiari; eravamo attesi dalle suore che in parte conoscevamo.
Il tempo fu breve, ma in parte riuscimmo a visitare questa bella struttura, poi ci recammo nella cucina dove una suora molto anziana stava preparando la cena, e l’orologio affisso alla parete in alto era fermo, mi chiesero di sostituire la batteria, rapidamente presi lo scaletto e la sostituii.
Ci trattenemmo ancora un poco a parlare poi venne il momento dei saluti.
Salutai le altre suore, ma quando venne il momento di salutare quella più anziana che stava a pochi passi da me ella apri le braccia, come quel Cristo sulla croce e mi sorrideva, rimasi un attimo senza fiato, gli corsi incontro e l’abbracciai, chissà forse tutti abbiamo ancora bisogno di una mamma.
Credo che questo sia il miglior modo di comunicare !
Tempo fa mi chiedevo come mi fossi comportato nei confronti di un camorrista non pentito ma in grave difficoltà.
Non avrei difficoltà a tendergli la mano.