«Per questo la politica crea sempre degli idoli, anche dopo il paganesimo: Big Brother, il Grande Timoniere, il Fűhrer, o l’Uomo che amiamo più di ogni altro devono essere divinizzati: fatti dei, scongiurano il divino, più volgarmente il destino. L’idolatri mostra la vera dignità del culto della personalità – quella di una figura familiare, addomesticata (tale dunque da far paura senza pericolo) del divino. La tentazione idolatrica, per l’antico Israele, dipendeva sempre dalle necessità politiche. Inversamente, è soprattutto alla politica che il nostro tempo deve il fatto di non mancare di nuovi idoli».
J.-L. Marion, L’idolo e la distanza. Cinque studi, Jaca Book, Milano 1977, 18.
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