Meditazione
per la
XV domenica del T.O. anno C
14 luglio 2019
“L’uomo è un essere ferito:
dal diavolo che lo ferisce di concupiscenza,
da Dio che lo ferisce d’amore”.
J. Maritain
Ci sono domande che rivelano quello che passa nel nostro cuore. Domande che mostrano talvolta quanto siamo in realtà interessati solo a noi stessi, domande che tradiscono il nostro bisogno di essere rassicurati, ma soprattutto domande che dicono che non sempre siamo disposti ad ascoltare le risposte. Siamo ripiegati sulle nostre situazioni, ossessionati dai nostri bisogni e facciamo fatica a entrare nella prospettiva dell’altro.
Le nostre domande, anche nella preghiera, anche quelle che rivolgiamo a Dio, a volte sono false, come quelle del dottore della Legge del testo di Luca (Lc 10,25). Sono false sia perché sono poste solo per ottenere conferma di quello che già pensiamo, sia perché tradiscono il disinteresse per una relazione che ci cambi la vita. Il dottore della legge è interessato solo a garantirsi la felicità, la vita piena, attraverso il suo merito e il suo sforzo volontaristico. La felicità consiste, per quest’uomo, nel tentativo di rispondere in maniera impeccabile ai suoi doveri: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Ma la vita è altrove. Quest’uomo comincerà a comprendere che la cura scrupolosa del dovere può renderci certamente corretti, ma non inevitabilmente felici. Per questo Gesù lo invita a percorrere un cammino di conversione, che passa attraverso la trasformazione delle sue domande: non si tratta di chiedersi chi sia prossimo a me, ma chi si è fatto prossimo. Si tratta di passare da una visione infantile che cerca di attirare l’attenzione, come il bambino che si ritira capricciosamente in un angolo, a una visione da adulto, capace di accorgersi e di prendersi cura delle ferite dell’altro.
Gesù aiuta quest’uomo a vivere un viaggio interiore attraverso un racconto, che è proprio il racconto del viaggio di qualcun altro. Lo invita a mettersi in movimento. Si tratta di un viaggio in discesa: da Gerusalemme a Gerico ci sono più di mille metri di dislivello. Una strada insicura e pericolosa. È l’immagine di una discesa agli inferi, quella che Gesù sta per percorrere nel sabato santo. Gesù scenderà negli inferi per risollevare tutti coloro che in un modo o in un altro sono rimasti feriti dalla vita.
Anche noi ci ritroviamo a ripercorre quella stessa strada. Anche noi, come il sacerdote e il levita, spendiamo la nostra vita tra il culto e l’ordinarietà. Eppure, non sempre il culto porta automaticamente a prenderci cura delle ferite di un altro. È probabile che il testo di Luca voglia alludere al fatto che il sacerdote e il levita scendono da Gerusalemme dopo aver officiato nel tempio, ma quella preghiera non li ha resi più sensibili ai drammi dell’umanità.
Al contrario, c’è un samaritano che è semplicemente in viaggio, uno che sta portando avanti il cammino della sua vita. Eppure, questo samaritano si ferma davanti a un uomo che ha bisogno di aiuto. Fermarsi davanti alle ferite dell’altro non è infatti questione di culto, ma semplicemente di umanità.
Se c’è infatti un elemento che ci accomuna, è senz’altro la nostra vulnerabilità. Siamo tutti esposti a essere feriti in qualche modo dalla vita. Che io lo voglia o no, condividiamo la stessa vulnerabilità. A volte proviamo a chiudere gli occhi sulle ferite degli altri perché abbiamo paura di ricordarci delle nostre ferite e di risentirne il dolore. Si tratta però solo di una rimozione: le nostre ferite restano dove sono. La vita piena sta invece nel ritrovarsi solidali con tutti gli altri in questa inevitabile vulnerabilità che ci appartiene.
È paradossale e provocatorio questo inserimento nella parabola della figura positiva di un samaritano, perché pochi versetti prima Luca ha riferito del rifiuto proprio dei samaritani di permettere a Gesù di passare attraverso il loro territorio (Lc 9,52-53), in quanto stava andando chiaramente verso Gerusalemme, luogo nel quale i samaritani non celebrano il loro culto. Per i samaritani il luogo sacro è infatti il monte Garizim. È come se Gesù volesse spogliare la risposta alle ferite dell’uomo da ogni implicazione religiosa e ricondurla essenzialmente a un’esigenza umana.
I gesti di questo samaritano rievocano azioni messianiche: farsi vicino, fasciare le ferite, versare l’olio e il vino (cf Isaia 61). In fondo è Gesù stesso che si sta identificando con quest’uomo che si prende cura di chi sta morendo e nel contempo annuncia il suo ritorno: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno» (Lc 10,35).
A questo punto il dottore della Legge, come anche ogni lettore, può riprendere il suo viaggio e decidere se fermarsi davanti alle ferite dell’altro o continuare, senza fermarsi, chiuso nella propria indifferenza.
Leggersi dentro
– Cosa puoi dedurre dalle domande che abitano la tua preghiera?
– Come stai davanti alle ferite degli altri?
Versione originale su www.clerus.va
Io sto davanti alle ferite dell’altro, innanzitutto in silenzio ed ascolto, e dopo vedo come posso fare per dargli una mano. Nella mia preghiera c’e’ quello che sono e che offro al Signore perche’ Lui sa cosa ha messo dentro di me.
Se io per prima sono la persona che giace mezza morta, ferita nel corpo e nello spirito, bisognosa delle cure di Dio, allora primo passo è il mettermi lì, rendermi conto che sono nella condizione di chi è profondamente ferito e vive l’esperienza dell’essere soccorso. Questo mi dà la forza per compiere il passo successivo, provare a fare lo stesso, passare accanto a chi è ferito e trovare delle soluzioni per offrire un aiuto concreto.
GRAZIE P.GAETANO PER AIUTARCI ANCORA UNA VOLTA A SCENDERE NEL PIÙ PROFONDO DEL NOSTRO ESSERE PER RITROVARCI COME SIAMO PIÙ CHE COME APPARIAMO….
Hallo Father,
Your homilies are very inspiring. Thank you very much.
Wanjiku Njau fsp
Grazie, trovo di aiuto le tue riflessioni, e le diffondo come tutto ciò che può aiutare a diventare piú consapevoli della umanitá e disumanità che ci abitano!
Mi ha colpito soprattutto la constatazione di come la fede, preghiera pratiche e perfino messa, possano lasciarmi in una sfera insensibile alle sofferenze altrui…comprovato durante la frequentazione di ambienti religiosi, dopo buona parte della vita passata lontano da essi…e quindi, capisco bene e condivido cosa vuol dire Gesù, ai nostri cuori e menti addomesticati alle pratiche…ma spesso non toccati e davvero trasformati dall amore che ufficiamo, pur sinceramente credendoci! Cosa chiedere nella preghiera, allora?
Un cuore di carne, vivente in Lui e tra noi! Saluti
Grazie per la condivisione. Penso che possiamo chiedere innanzitutto di crescere in umanità.