meditazioni

Eccomi qua! L’amore e il coraggio di lasciarsi ferire

Natale del Signore – Messa della notte

25 dicembre 2022

Is 9,1-6   Sal 95   Tt 2,11-14   Lc 2,1-14

«Egli giace in una mangiatoia,
ma contiene l’universo intero;
succhia da un seno, ma è il pane degli angeli;
è avvolto in pochi panni, ma ci riveste dell’immortalità;
viene allattato, ma viene adorato;
non trova riparo in un albergo,
ma si costruisce il tempio nel cuore dei suoi fedeli.
Perché la debolezza divenisse forte
la fortezza si è fatta debole.».
Sant’Agostino, Discorso 190,3.4

Censimenti personali

Fin da piccoli siamo abituati a tenere conto di quanto valiamo, quanto siamo forti, quanto sappiamo farci rispettare. E nel contempo siamo continuamente sollecitati a giudicare le persone in base al potere che hanno: siamo invidiosi, gelosi, critici, osservando chi è arrivato, chi si è realizzato, ritenendo che noi lo avremmo meritato di più: l’altro non ha niente di più rispetto a me! Il carrierismo, in ogni ambito, dall’azienda alla parrocchia, dalla diocesi agli uffici di curia, si basa su questa dinamica: il tentativo di dimostrare a noi stessi che valiamo di più.

Non meravigliamoci allora se viviamo in un clima di guerra internazionale. Non parliamo della pace se siamo poi i primi a fare guerra nei luoghi in cui lavoriamo, in famiglia, nelle parrocchie o nelle comunità. I sistemi di spionaggio li usiamo anche noi e i missili li lanciamo anche noi, pretendendo molte volte di prenderci quello che non è nostro. Questa notte di Natale non può non parlare di pace alla concretezza della nostra storia.

Quanti siamo?

Il Vangelo di Luca, che leggiamo questa notte, comincia infatti descrivendo un preciso momento del tempo in cui Dio entra nella concretezza della storia. L’incarnazione non è astratta o concettuale, ma carnale, profondamente reale: l’Imperatore ha ordinato un censimento e Quirino è governatore della Siria.

Il censimento è proprio l’espressione di quel tentativo di contarsi: i grandi vogliono vedere quanto sono forti. Ci si conta anche per prepararsi alla guerra. Lo facciamo continuamente anche nelle Congregazioni religiose o nelle parrocchie, senza considerare minimamente quello che Dio può fare anche dove ci sono solo cinque pani e due pesci: siamo portati sempre a valutare quanto valiamo, contando le forze che abbiamo!

Per non dire poi di quell’atteggiamento supponente e aristocratico con cui guardiamo dall’alto in basso chi ci appare esiguo, senza forze, irrilevante. Ci sono alcune persone che entrano in relazione solo con chi ritengono forte come loro, senza mischiarsi con chi sembra non contare niente. Questa è la dinamica del censimento.

Rovesciamenti

Eppure, ci dice Luca, Dio non solo entra in quell’evento (il censimento voluto dall’Imperatore) e lo trasforma, rendendolo occasione della sua presenza, ma ci fa vedere chi conduce veramente la storia: è il rovesciamento dei parametri. Mentre l’Imperatore conta le sue forze, un bambino, che ancora non parla, salva l’umanità; mentre Quirino governa, l’annuncio della salvezza è portato ai pastori, cioè agli emarginati, a quelli che non contano niente.

Non c’è posto

In questa storia dei grandi e dei potenti non c’è spazio per Dio. Non c’è spazio per Dio nella nostra vita quando quello che ci interessa è il potere, la violenza, l’affermazione di noi stessi a tutti i costi. Non sappiamo perché non ci sia posto per Maria e Giuseppe a Betlemme: forse le locande sono piene proprio per le persone che arrivano per il censimento, ma forse, dicono alcuni studiosi, non era opportuno per una donna incinta partorire dentro una stanza con tante persone, sia per questioni di riservatezza, sia per questioni di purezza rituale.

Sta di fatto che lo spazio per Gesù che nasce non c’è. Così a volte anche le nostre motivazioni sembrano nobili e rispettabili. Riusciamo a trovare tanti motivi per escludere Dio dalle stanze della nostra vita. Ad ogni modo questa storia di Dio in mezzo agli uomini inizia così, con l’esclusione, con il rifiuto, con l’essere messo da parte.     

Pane di vita

Gesù trova spazio, forse non a caso, in una mangiatoia, un luogo che richiama appunto il cibo. Se pensiamo che anche alla fine della sua vita, prima di morire, Gesù vive uno dei momenti più intensi della sua esperienza umana dentro un cenacolo, il luogo appunto dei pasti, forse dovremmo pensare che questo inizio non è casuale: la vita di Gesù è un lasciarsi mangiare. Gesù si dona a noi come pane che nutre. Del resto nasce proprio a Betlemme, la casa del pane! Il suo desiderio per noi è tutto lì: nutrire la nostra vita con il suo amore.

Luce nella notte

Il segno che viene annunciato ai pastori è eloquente, a questo punto, proprio nella sua banalità: un bambino che nasce, quello è il segno dell’amore di Dio. Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce, dice Isaia: è il popolo che cammina verso Gerusalemme nel suo pellegrinaggio al Tempio e cammina di notte, arrivando nella città proprio all’alba, quando la luce squarcia la notte.

La notte dei pastori, la notte dell’umanità emarginata ed esclusa, è inondata da questa luce semplice. Cosa vuol dire che Dio si presenta come un bambino che nasce in una mangiatoia? Dio si fa vedere nella fragilità. Un bambino ha bisogno di tutto, ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura. Dio si fa vedere vulnerabile. E così ci aiuta ad accogliere la nostra vulnerabilità: sono debole, mi capita di essere ferito, ne porto i segni…ma persino Dio si è lasciato vedere così e il Signore risorto si lascerà riconoscere attraverso le sue piaghe.

Lasciarsi ferire

Perché il Signore si lascia vedere nella sua debolezza? Perché questo è l’unico modo per riuscire ad amare: essere disposti a lasciarsi ferire. Dio prende la nostra carne, cioè la nostra indigenza, quella parte di noi che comporta il dolore, ma è anche quella parte di noi che ci permette di amare. Non puoi amare se non sei disposto a soffrire.

Ecco perché intorno a noi vediamo tanta gente imbalsamata e congelata, è gente che ha deciso di non amare più. Dio invece si fa vedere come un bambino inerme e indifeso perché fin d’ora vuole dirci che il suo desiderio è quello di amarci e di essere amato. Come scrive Gregorio Nazianzeno: «Il Signore si mette una seconda volta in comunione con l’uomo, e in comunione molto più straordinaria della prima, in quanto la prima volta [nella creazione] egli mi fece partecipare alla natura migliore, ora [nell’incarnazione] invece è lui che partecipa all’elemento peggiore». Ecco perché il Verbo ha preso carne: ha preso l’indigenza e la debolezza, perché non è possibile amare senza lasciarsi ferire.

Leggersi dentro

  • Sei anche tu uno che tende a fare censimenti per vedere continuamente quanto vale?
  • Cosa ti insegna la debolezza di Gesù bambino?

4 commenti

  1. Grazieeeeee di cuore interessante, profondo e stimolante la meditazione… Auguri di Buon Natale anche a Voi….

  2. Grazie 🙏, in un momento mio di grandissima sofferenza, causato dall’amore negato la frase “non puoi amare se non sei disposto a soffrire” mi da conforto.

  3. Si portano i segni dell’Amore e, tante volte, penso che non ne valga piu’ la pena. Mi sento svuotata. Porta grande sofferenza mettersi dalla parte degli ultimi. L’uomo e’ proprio lupo di se stesso. Purtroppo, quest’anno, porto dietro a me questo sentire di fatica, questa impotenza di modificare qualcosa per volgerla al meglio. Non dipende solo da me. Offro questo mio niente.

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